Un road movie albanese vince l’edizione 2019 del Trieste Film Festival

Tanti road movie e viaggi dentro se stessi quest’anno al Trieste Film Festival, l’appuntamento annuale che porta gli spettatori a scoprire l’Europa Est Orientale attraverso il cinema. Avrei voluto vedere molti più film, ma purtroppo, come accade spesso ai festival, tantissime proiezioni interessanti si sovrapponevano l’una con l’altra e così ho dovuto fare una scelta drastica.

In questo post vi racconto i 5 film che mi sono piaciuti di più, tra quelli che ho visto, nella speranza che possiate rivederli da qualche parte (anche se purtroppo capita molto di rado che siano distribuiti nelle nostre sale) e vi ricordo i premiati dell’edizione numero 30 del festival.

Delegacioni (The Delegation – La Delegazione) – Albania

Il Premio Trieste al miglior lungometraggio in concorso va a uno dei due film che ho preferito: Delegacioni (The Delegation – La Delegazione) dell’albanese Bujar Alimani, già vincitore del Grand Prix all’ultimo festival di Varsavia, dove era stato proiettato in prima mondiale. Il film è un road movie ambientato nell’Albania di fine regime, quando quello che restava della terribile dittatura di Hoxha tentava di salvare la faccia davanti alla comunità internazionale. Per rendere il più verosimile possibile l’ambientazione dell’epoca, il direttore della fotografia ha visionato le immagini del 1990 presenti nell’archivio di Tirana, analizzando volti e ambienti e scegliendo il filtro color seppia, accentuato in particolare in alcune scene. Il protagonista del film è un prigioniero politico, un professore incarcerato anni addietro dal regime che, in una giornata qualunque, viene prelevato senza spiegazioni da una prigione sperduta tra le montagne albanesi. Tutti, protagonista e spettatori compresi, immaginano che stia andando incontro a un’esecuzione sommaria. Invece comincia il suo strano viaggio verso Tirana, insieme a due silenziosi e riluttanti accompagnatori governativi.

A poco a poco il prigioniero riesce ad estorcere qualche informazione per comprendere il suo destino: dovrà testimoniare a favore delle autorità, mentendo sulla sua condizione, per fare in modo che il regime risulti credibile di fronte alla comunità europea. Nel film, in particolare, il capo della delegazione europea che deve valutare se l’Albania ha fatto progressi nel campo dei diritti umani è un vecchio compagno di università del professore incarcerato. Il regista, presente alla proiezione, ha spiegato che il film si ispira a una storia vera: durante quegli anni capitava spesso che prigionieri politici fossero prelevati, anche più volte, per testimoniare a favore del regime. Il viaggio però non va come dovrebbe.

Non vi racconto di più, altrimenti vi rovinerei una possibile futura visione. Il film a tratti risulta un po’ lento, ma la trama è convincente e mai banale per descrivere gli ultimi anni del regime albanese e il tentativo di arrampicarsi sugli specchi da parte di chi ancora lo difende, giustificando razzismo, odio e sessismo (ben rappresentati dal “cattivo” del film). È un film drammatico, ma agli elementi tragici ne unisce altri comici che rendono perfettamente il grottesco presente in ogni dittatura, fino alla metafora della scena finale, elemento simbolico che riassume il messaggio del film. Questo ennesimo tentativo dell’Albania di fare i conti con il proprio passato, rispetto alle precedenti prove, sta riscuotendo notevole successo nel pubblico internazionale, ancora di più che in quello albanese.

Laskovoe Bezrazličie Mira (The Gentle Indifference of the World – La gentile indifferenza del mondo) – Kazakistan

Quanto può essere crudele il viaggio dalla campagna alla città? lo sperimenteranno i protagonisti di un film che adorato in questa edizione del festival per la sua eleganza delicata e inconsueta, ma che, purtroppo e per me inspiegabilmente, non ha ricevuto alcun premio. Si tratta di Laskovoe Bezrazličie Mira (The Gentle Indifference of the World – La gentile indifferenza del mondo) del kazako Adilkhan Yerzhanov, presentato nella sezione Un Certain Regard del festival di Cannes nel 2018.

Può un film essere estremamente poetico e realistico allo stesso tempo? Questo ci riesce benissimo, supportato da una fotografia e una regia che mi sono sembrate davvero splendide e da un racconto che alle citazioni di Camus alterna le risse della mafia locale, senza che la storia risulti stonata.

Il paesaggio del Kazakistan, fermato da campi lunghissimi, assomiglia a una terra venuta dai sogni, sempre assolato e rarefatto, in cui i protagonisti si muovono lenti, quasi a voler assaporare ogni attimo di una vita che sta per cambiare per sempre. Dopo il suicidio di suo padre, Saltanat deve trovare i soldi per pagare il grande debito familiare che il genitore ha lasciato, per salvare sua madre dal carcere. Controvoglia, la ragazza, che vediamo lungo quasi tutto il film con il suo vestito rosso e il suo ombrello giallo, accetta di andare in città da uno zio mai conosciuto prima che però conosce un uomo che la potrebbe sposare e ripagare i debiti della famiglia. In questo viaggio la segue Kuandyk, squattrinato amico d’infanzia e suo ammiratore.

Nulla andrà come sperato per i due ragazzi che, nonostante provengano da ambienti diversi (Saltanat è laureata in medicina, emancipata e intelligente, Kuandyk è rozzo ma dolcissimo e legge di nascosto da sempre i libri di lei), si avvicinano sempre di più, soli contro un mondo spregevole che non lascia speranza alle persone dai sentimenti puri ma prive di denaro e protezione.

Nonostante sia improbabile che vediate questo film così poco convenzionale in qualche sala, preferisco non raccontarvi il finale. Non si sa mai che qualche festival decida di riproporre questo film che a me personalmente ha lasciato incantata. Oltre a farmi venire voglia di andare in Kazakistan.

Teret (The Load – Il carico) – Serbia

Il secondo road movie che mi ha convinto e che ha vinto il premio è Teret (The Load – Il carico) del serbo Ognjen Glanović che racconta la storia di un camionista durante i bombardamenti della Nato nel 1999. La storia indaga un pezzo di storia estremamente delicato e di cui si parla ancora poco, ovvero i massacri compiuti dalla Serbia in Kosovo. Il protagonista del film è il serbo Vlada (interpretato dalla celebrità croata Leon Lučev), che, per mantenere la sua famiglia durante la guerra, raggranella qualche soldo come camionista e con il suo camion compie viaggi dal Kosovo a Belgrado per conto delle forze militare serbe. L’accordo è di non chiedere nulla sul carico trasportato e di non aprire mail camion durante il viaggio. Quello che il protagonista scoprirà alla fine cambierà radicalmente la sua esistenza.

Gli spettatori vedono in realtà molto poco del dramma: la guerra è rappresentata da bagliori lontani e, a volte, dagli echi delle bombe. Non ci sono scene drammatiche o cadaveri: il non-visto è il protagonista. Gli unici indizi sono case decadenti, terreni infangati, auto incendiate sparpagliate lungo la strada e ruspe che scavano fosse.

Può essere che questo film venga proiettato ancora in Italia e quindi mi rifiuto di raccontarvi di più. Se vi capita di vederlo, vi dico soltanto di prestare particolare attenzione alla scena in cui il protagonista cerca una macchina fotografica, oltre allo splendido dialogo finale con il figlio, che, peraltro, è il figlio dell’attore anche nella realtà. Il confronto generazionale è uno dei temi portanti del film, il cui significato si cela anche nel rapporto tra Vlada e il padre ormai morto e il giovane autostoppista che il camionista porterà a Belgrado.

Tutti tasselli fondamentali a ricostruire la storia e il suo epilogo, ma soprattutto il periodo storico in cui questo coraggioso film è ambientato. Il regista ha raccontato di aver impiegato 7 anni per realizzare questa pellicola.

Tlumočník (The interpreter – L’interprete) – Slovacchia

Terzo road movie che ho amato è stato Tlumočník (The interpreter – L’interprete) dello slovacco Martin Šulík, un viaggio attraverso la Slovacchia in cerca di testimoni sopravvissuti alla tragedia della seconda guerra mondiale durante il periodo nazista. Il film mi è piaciuto soprattutto perché tratta di un tema poco conosciuto, ovvero il ruolo avuto dalla Slovacchia durante il periodo nazista nelle deportazioni e uccisioni degli ebrei del Paese. Il film inizia con Ali Ungar, un anziano interprete slovacco in pensione (intrepretato dall’ottantenne cineasta ceco Jiří Menzel), che decide di andare a Vienna per cercare (e uccidere probabilmente, visto che si infila una pistola nella tasca del cappotto) l’ufficiale nazista che decenni prima ha sterminato la sua famiglia in Slovacchia e chiudere la sua esistenza saldando i conti con il passato doloroso che ha segnato la sua vita. Scoprirà subito però che il suo nemico è morto da tempo e che il figlio è un attempato bohémien in cerca di divertimenti più che di memoria del passato.

Nonostante il primo incontro difficile, il figlio delle vittime dello sterminio nazista e quello di uno dei carnefici decidono di mettersi in viaggio insieme attraverso i luoghi della Slovacchia segnati dal passato nazista. Il film a questo punto cambia registro e al tema drammatico si sommano momenti leggeri e quasi comici di gag tra i due protagonisti, caratterialmente agli antipodi ma destinati a diventare improbabili amici. Il regista poco alla volta si concentra sull’interiorità dei due personaggi, mettendo a fuoco soprattutto quella di Georg, il figlio del nazista, che diventa ad un certo punto il vero protagonista del film, contrariamente a quanto immaginato all’inizio.

L’attualità guadagna spazio sull’ironia durante l’incontro con la figlia di Ali che si occupa degli orfani della guerra in Ucraina (il passato che non insegna e si ripete), mentre cresce la consapevolezza di Georg delle sue radici e quella di Ali durante l’incontro con il collaborazionista slovacco oggi in casa di riposo. Il tutto incorniciato dai paesaggi da cartolina della Slovacchia, lo stato più giovane d’Europa con un passato antichissimo e per tanta parte ancora sconosciuto. Il film è a tratti troppo episodico e non mi ha convinta del tutto, in ogni caso non mi dispiacerebbe vederlo in qualche sala italiana perché il tema trattato è originale e la storia meriterebbe conosciuta da un pubblico più ampio.

trieste film festival
trieste film festival

Donbass – Ucraina

L’intento di Sergei Loznitsa era quello di raccontare il caos e la follia della guerra e con Donbass, il suo quarto lungometraggio, presentato come film d’apertura della sezione Un Certain Regard all’ultimo festival di Cannes, probabilmente ci è riuscito. Un film difficile, a tratti difficilissimo, da comprendere, da seguire e forse anche da apprezzare. Il regista ha spiegato che la genesi del film nasce da video amatorali trovati in rete che ha usato per realizzare un film in sette episodi, scollegati tra di loro, a parte il primo e l’ultimo che chiudono circolarmente il caos e l’ambiguità generati dalla pellicola.

Il film è molto documentaristico, anche per l’uso massiccio della macchina a mano e delle soggettive. Ai confini tra realtà e finzione, tra dramma e farsa, la storia raggiunge picchi di grottesco e di crudeltà, fino a generare senso di fastidio nello spettatore. Pallottole e risate in un teatro dell’assurdo davvero difficile da amare. Senza trama ma con un finale che impietrisce, Donbass forse è uno di quei film che ci si dovrebbe sforzare di vedere due volte, per cogliere tutti i messaggi – da tanti definiti kafkiani – che Loznitsa, regista e documentarista fra i più importanti a livello internazionale, vuole comunicarci sulla guerra in Ucraina. Il Trieste Film Festival ha dedicato un omaggio al cinema id Loznitsa nel 2011, mentre nel 2013 il suo Anime nella nebbia ha vinto il premio come miglior lungometraggio.

donbass
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TRIESTE FILM FESTIVAL 2019 – I VINCITORI

Il pubblico ha decretato i seguenti vincitori:

CONCORSO LUNGOMETRAGGI
Il Premio Trieste al Miglior lungometraggio in concorso (€ 5.000) va a DELEGACIONI (La Delegazione) di Bujar Alimani (AL – F – GR -RKS, 2018)

CONCORSO DOCUMENTARI
Il Premio Alpe Adria Cinema al Miglior documentario in concorso (€ 2.500) va a CHRIS THE SWISS di Anja Kofmel (CH – D – HR – FIN, 2018)

CONCORSO CORTOMETRAGGI
Il Premio Fondazione Osiride Brovedani al Miglior cortometraggio in concorso (€ 2.000) va a LAST CALL di Hajni Kis (Ungheria, 2018)

Il Premio Corso Salani supported by Parovel 2019 (€ 2.000), assegnato da una giuria composta da Caterina Mazzucato, Judit Pinter e Rino Sciarretta va a MY HOME IN LIBIA di Martina Melilli
con la seguente motivazione: L’opera affronta in maniera originale una storia vissuta nella realtà e nella memoria di chi è stato privato della sua libertà. Dal punto di vista formale sono molto interessanti i diversi piani del linguaggio.

Il Premio SkyArte assegnato dal canale Sky Arte HD attraverso l’acquisizione e la diffusione di uno dei film della sezione TriesteFF Art&Sound è stato attribuito a RUBEN BRANDT, A GYÜJTÖ (Ruben Brandt, Il collezionista) di Milorad Krstić (Hungary, 2018)

Il Premio Osservatorio Balcani e Caucaso al miglior documentario in concorso va a CHRIS THE SWISS di Anja Kofmel (CH – D – HR – FIN, 2018) con la seguente motivazione: A Chris the Swiss di Anja Kofmel per l’equilibrio virtuoso tra il racconto biografico e la grande storia, per lo stile originale e diretto con cui ci racconta la vicenda di un giovane reporter vittima della violenza che vorrebbe capire. Perché ci presenta l’esito di un’inchiesta ancora attuale e perseguita con tenacia sui combattenti stranieri nella guerra di Croazia e ci offre una profonda riflessione sul male e sulla facilità con cui si cade nella spirale della violenza. Infine, perché ripercorrendo la guerra del 1991 ci ricorda quanto siano siano fragili le nostre società.

L’EASTERN STAR AWARD 2019, assegnato a una personalità del mondo del cinema che, proprio come il festival, ha gettato un ponte tra il cinema dell’Europa dell’est e quello dell’Europa dell’ovest, va al regista MILČO MANČEVSKI, Leone d’oro nel 1994 con Prima della pioggia e autore con Dust di un western che si fa – appunto – “eastern” volando dall’America di oggi alla Macedonia d’inizio Novecento.

Il CINEMA WARRIOR – CULTURAL RESISTANCE AWARD, dedicato all’ostinazione, al sacrificio e alla follia di quei “guerrieri” che lavorano – o meglio: combattono – dietro le quinte per il cinema, premia quest’anno il direttore del Festival di Sarajevo MIRSAD PURIVATRA

Il PREMIO InCE (Iniziativa Centro Europea) 2019 (€ 3.000) va a ŽELIMIR ŽILNIK, per la coerenza estetica e intellettuale di un autore di punta del cinema jugoslavo che fin dagli anni Sessanta sperimenta forme e linguaggi nuovi e che nel suo ultimo film torna a mettere in primo piano gli emarginati di oggi da un lato e dall’altro le nuove paure delle società occidentali.

Il PREMIO CINEUROPA, assegnato al miglior lungometraggio dal primo portale europeo che promuove il cinema e l’audiovisivo, va a TERET (Il Carico) di Ognjen Glavonić (SRB – F- HR – IR – Q, 2018).

Il PREMIO PAG assegnato da una giuria di giovani tra i 18 e i 35 anni, rappresentanti di associazioni giovanili, va a DELEGACIONI (La Delegazione) di Bujar Alimani (AL – F – GR -RKS, 2018) con la seguente motivazione: Il regista si muove fluido come l’acqua, elemento fortemente simbolico  nella pellicola, nei meandri dei paradossi storico-politici rafforzati  dallo studio del colore e delle luci.

Giornalista, blogger e autrice di guide di viaggio, non riesce ad immaginare una vita senza viaggi per scoprire nuovi luoghi e conoscere culture diverse. Ama l'arte, la natura, la fotografia, i libri e il cinema. Appassionata di Balcani e di Europa dell'Est, di Medio Oriente e Sud Est asiatico, spera di riuscire a vedere tutto il mondo possibile.

Commenti

2 Commenti
  1. pubblicato da
    Pellumb Kulla
    Feb 3, 2019 Reply

    Le mie congratulazioni vanno sopratutto ai miei compatrioti per il loro successo e l’interesse che hanno suscitato con la loro opera. È l’ennesimo trionfo del regista Alimani che intraprende coraggiose visite nella ricchissima miniera del passato degli albanesi. Nella foto che illustra le spiegazioni vedo Zhusti, un amico, attore carismatico, compagno di studi al quale auguro che venga premiato in queste uscite internazionali. Insieme ad Alimani e gli altri, s’intende. – Pellumb Kulla

    • pubblicato da
      RitagliDiViaggio
      Feb 14, 2019 Reply

      Grazie davvero per questo commento! E speriamo di vedere ancora questo film proiettato nelle sale italiane

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