Le vicende degli ultimi decenni sembravano avere cancellato nell’immaginario comune il ricordo che l’Iran è l’erede dell’antica Persia, ma la situazione internazionale si è improvvisamente rovesciata e l’Iran, una delle poche nazioni stabili del Medio Oriente, sta tornando ad essere la metà di molti viaggiatori occidentali. Il tour classico prevede la visita delle regioni centrali, culla dell’antica civiltà persiana, nelle quali si trovano le città e i siti archeologici più famosi. L’Iran però è una nazione vasta, un crogiuolo di popoli e culture. Un viaggio attraverso le regioni nord occidentali consente di scoprire innumerevoli Patrimoni dell’Umanità, insieme a paesini abbarbicati sulle montagne e paesaggi completamente diversi dall’arido altopiano centrale.
Uno dei luoghi più affascinanti è il sito di Takht-e Soleiman, sperduto in mezzo alla campagna. Per visitarlo da Zanjan mi sono organizzato con un’auto privata. Il driver, Reiza, conosce solo quattro parole di inglese ma riesce comunque a manifestarmi il suo scontento: “Iran no good”. Il percorso, una successione di salite e discese con continui cambiamenti di paesaggio, attraversa regioni verdissime che dovettero piacere molto ai conquistatori mongoli, sempre alla ricerca di pascoli per i cavalli e il bestiame.
Alcuni paesini di case di fango appaiono veramente pittoreschi: Shikhlar in una vallata sotto montagne che formano una tavolozza di colori, Qaravolkhana con la macchia delle case di fango in mezzo a montagne coperte da prati erbosi.
Quando finalmente appare Takht-e Soleiman, il giro di mura con le torri circolari, sopra una bassa e larga collina, stupisce come se un castello dell’Europa medievale fosse stato trasportato nelle praterie mongole. Il sito ha vissuto due principali periodi costruttivi, nell’antichità in epoca sassanide e nel XIII secolo durante la dinastia mongola degli ilkhanidi.
Il nome, Trono di Salomone, non ha niente a che vedere con la realtà storica e sarebbe stato introdotto dai sacerdoti zoroastriani solo per salvare il sito dagli invasori arabi, sempre rispettosi nei confronti dei personaggi biblici. Le mura risalgono all’epoca più antica ed alternano tratti formati da grandi blocchi ad altri di piccole pietre. Nel vasto pianoro le rovine si stagliano sulle acque turchesi di un lago vulcanico, racchiuso da sponde rocciose.
Durante l’antichità il sito era considerato un luogo sacro, tanto da essere utilizzato per l’investitura degli imperatori sassanidi. A nord del lago sorge il complesso principale degli edifici sassanidi: il settore residenziale, il tempio del fuoco e quello dedicato ad Anahita.
Tra confusi resti, un edificio appare invece ancora integro: la sala ha il pavimento a un livello molto più basso e le altissime pareti in blocchi di pietra proseguono in mattoni formando una magnifica volta a botte. Il tempio del fuoco di Azar Goshnasb era un ambiente quadrato, nel quale i quattro pilastri creavano una pianta cruciforme con un corridoio intorno. Le mura di fango e pietra poggiano su basi di mattoni; la loro calda tonalità produce un effetto molto bello. Chiudo gli occhi e cerco di immaginarmi l’ambiente ancora integro: doveva essere spettacolare con i quattro pilastri che reggevano gli archi oggi scomparsi; uno solo puntellato s’intuisce ancora.
Uscendo dal tempio dal lato opposto al lago e proseguendo lungo l’asse centrale tra altre confuse rovine, raggiungo la porta settentrionale delle mura, ingresso principale in epoca sassanide. Poco prima una magnifica galleria stretta e lunga è coperta da una volta a botte; le pareti di grandi blocchi di pietra culminano in una volta di pietre lunghe e sottili. Dopo tanti secoli è ancora incredibilmente integra. Il luogo freschissimo forse aveva la stessa funzione dei criptoportici romani, permettendo alla corte di passeggiare al riparo dalla calura esterna.
Completata la visita, le sorprese non sono finite: pochi chilometri in taxi mi portano alla Zendan-e Soleiman, la Prigione di Salomone. Prima dell’ascesa, Reiza si raccomanda di non dilungarmi troppo nella visita, come ho fatto a Takht-e Soleiman. La montagna si erge isolata un centinaio di metri sopra la piana. L’ascesa è rapida ma impegnativa, con la vista che spazia fino al Trono di Salomone. Arrivato in cima mi affaccio oltre le rocce su una cavità profondissima dalla quale si leva odore di zolfo. La montagna è completamente cava, con impressionanti pareti a strapiombo che formano un anello; sembra di avere di fronte, anzi di sotto, il vero ingresso dell’inferno. Il vento spira forte e mi scoraggia ulteriormente dallo sporgermi troppo.
Comments
1 commentoMarco Crisafulli
Apr 11, 2017Simonetta grazie per la pubblicazione dell’articolo e complimenti per il tuo blog, molto interessante.