Premessa: perché Srebrenica, perché l’11 luglio 2015
I minareti di Sarajevo sono suggestivi, il ponte di Mostar è un capolavoro architettonico ed è divertente fumare il narghilè in un locale tipico bosniaco. I Balcani sono ancora considerati una meta esotica, anche se si trovano a pochi chilometri dai confini italiani. Essere il ponte tra Occidente e Oriente conferisce a queste terre fascino e originalità, ma gli abitanti degli stati nati dalla dissoluzione della Jugoslavia hanno dovuto pagare a caro prezzo questo mix di culture.
Viaggiare nei Balcani ha poco senso se non ci si sforza di conoscere e provare a capire anche la complicata storia di questi popoli, compreso i tragici anni ’90 che hanno segnano il destino di questi luoghi. Per questo motivo, prima ho sempre voluto visitare Srebrenica. E per questo motivo non ho potuto fare a meno di andarci – per la prima volta – proprio in occasione di una delle giornate più intense, l’11 luglio 2015, a 20 anni esatti dal massacro che vide morire in pochi giorni ottomila musulmani bosniaci per mano dei serbi bosniaci.
Un genocidio secondo l’Aja, contestato – nelle parole e nei numeri – dalla Serbia e dai serbo bosniaci. E quindi un anniversario importante e delicato, vissuto con molte tensioni.
È molto probabile che tornerò a Srebrenica, in una delle 364 giornate qualsiasi, ma l’11 luglio 2015 era storico e ho voluto essere lì.
Cronaca di un ventennale e di un luogo-simbolo
Gli autobus sono partiti da Prijedor prima dell’alba, quelli da Sarajevo soltanto qualche ora più tardi. Da ogni città della Bosnia, migliaia di persone non hanno voluto mancare alla cerimonia del ventennale che ricorda il terribile massacro che cominciò l’11 luglio 1995 e andò avanti fino al 19 luglio: la parola Sebrenica evoca qualcosa di cui è sempre difficile parlare.
È una giornata delicata per la Bosnia-Erzegovina e in particolare per la subregione di Podrinje, quella che va da Srebrenica al fiume Drina, confine naturale con la Serbia, dove durante la guerra furono compiuti tra i peggiori massacri. Sono attese autorità da tutto il mondo e le parate di auto di grossa cilindrata che ospitano uomini in completo scuro cominciano a sfilare molto presto lungo la stretta strada che conduce nella cittadina della Bosnia orientale. A Potočari, villaggio a sette chilometri da Srebenica, oggi sono attese almeno 50 mila persone.
Noi dormiamo a Vlasenica, un villaggio della Republika Srpska a pochi chilometri dal memoriale e possiamo prendercela con un po’ più di calma. La via più rapida che conduce a Potočari è bloccata dalla polizia: da lì passano soltanto le vetture istituzionali. Tutti gli altri sono costretti a fare il giro più lungo e la strada più tortuosa con un lungo tratto di sterrato che costringe a passare per Srebrenica prima di raggiungere il memoriale. Lungo il percorso, ogni chilometro è scandito dalla presenza di un poliziotto sul ciglio della strada. L’inizio della cerimonia è previsto per le 10.30.


Gallery: Verso Srebrenica
Srebrenica, le terme della Jugoslavia.
Dall’uscio delle case con i balconi fioriti, gli abitanti di Srebrenica osservano la folla che si avvia ad assistere alla cerimonia. Srebrenica ha l’aspetto di un tranquillo borgo di montagna, simile a molti di quelli che si vedono, ad esempio, nella zona prealpina italiana: l’aria è fresca, la strada principale attraversa il fondovalle, in mezzo alle case che si affacciano ai lati della via, c’è una piccola piazza su cui convergono le altre strade del paese. 


Gallery: Srebrenica oggi
Potočari, un memoriale ogni anno più ampio.
La strada è ormai intasata di persone e sulla sinistra si comincia a notare la collinetta che si affaccia sul memoriale. Il prato è verde e le macchie bianche sono le lapidi tutte uguali e disposte in modo simmetrico. Si distinguono da quelle verdi più piccole, che appartengono a coloro che saranno inumati oggi. 


La storia dell’eccidio.
Tutto comincia nel 1992. La Jugoslavia si sta dissolvendo e dopo la nascita degli stati indipendenti di Slovenia e Croazia, anche la Bosnia Erzegovina dovrebbe seguire lo stesso destino. Ma i serbo-bosniaci vorrebbero realizzare una “Grande Serbia” con Belgrado e il 6 aprile 1992 Sarajevo viene attaccata e assediata. In tutte le località lungo il fiume Drina, confine naturale tra la Bosnia e la Serbia, la pulizia etnica era già cominciata: migliaia di bsognacchi (bosniaci musulmani) sono uccisi o deportati, su ordine Radovan Karadzic, capo dei serbi della Bosnia. I rifugiati fuggono verso Srebrenica, dichiarata nel 1993 “area protetta” dalle Nazioni Unite. A proteggere la città e i suoi rifugiati viene inviato prima un battaglione canadese, sostituito poi dall’olandese Dutchbat.
L’enclave sopravvive in condizioni precarie per circa tre anni, in stato di perenne assedio. Chi può, soprattutto donne e bambini, riescono a partire per tentare di mettersi in salvo nel campo profughi di Tuzla. L’11 luglio 1995 Ratko Mladić entra in città, sotto lo sguardo impotente dei caschi blu. Le donne sono separate dagli uomini dai 12 ai 77 anni, che vengono caricati sugli autobus, portati a Potočari, a sei chilometri da Srebrenica, massacrati e gettati nelle fosse comuni. Fino al 19 luglio, i serbo-bosniaci uccidono circa mille musulmani al giorno. Questi sono i numeri della storia ufficiale, ancora oggi contestati dai serbo bosniaci e dalla Serbia. Il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja e la Corte internazionale di giustizia hanno stabilito che l’uccisione di oltre 8mila musulmani bosniaci è stata un genocidio compiuto dalle truppe serbo-bosniache. Un crimine organizzato e coordinato, visto che, per tentare di coprirlo, i corpi nelle fosse comuni sono stati disseppelliti tramite mezzi pesanti e i loro resti sparpagliati in zone diverse del territorio. Per questo motivo, ancora oggi, molti corpi non sono stati trovati. Karadzic viene arrestato in Serbia nel 2008, Mladic nel 2011. I processi sono in corso.
La fabbrica delle batterie.
Oltre il parcheggio dei bus, proprio di fronte al memoriale, si conserva una pesante memoria del massacro: quello che resta della fabbrica degli accumulatori, dove gli abitanti di Srebrenica cercarono la protezione dei caschi blu, e i tre blocchi della palazzina delle forze Onu olandesi Dutchbat, che assistettero impotenti all’eccidio e sul cui ruolo ancora oggi si discute. 


Gallery: La fabbrica delle batterie l’11 luglio 2015
La palazzina degli olandesi.
Ad attirare l’attenzione è la palazzine degli uffici di fronte alla fabbrica. L’interesse di questa palazzina è dato soprattutto dai graffiti sulle pareti interne: si tratta dei disegni realizzati dai soldati olandesi. Caricature e scritte che hanno creato parecchio imbarazzo. Alcuni, infatti, sono murales pornografici o scritte che irridono le donne bosniache musulmane. 

Da qui si riesce a distinguere anche lo striscione srotolato durante la contestazione a Vucic e che recita “Per ogni serbo ucciso, 100 musulmani”, la frase che l’allora ministro del governo di Milosevic aveva pronunciato in un suo discorso al parlamento serbo il 20 luglio del 1995. 
Gallery: i graffiti ancora visibili nella palazzina olandese
Una vigilia tormentata.
Per comprendere l’atmosfera di tensione che si respira a Srebrenica l’11 luglio 2015, è necessario ricordare i tre eventi che hanno segnato le settimane precedenti la commemorazione dell’eccidio.
- 10 giugno 2015: viene arrestato a Berna Naser Orić, ex comandante della difesa di Srebrenica durante la guerra 1992–95, eroe nazionale per i bosgnacchi e criminale di guerra per i serbi.
- 5 luglio 2015: il domenicale britannico Observer pubblica un reportage basato su ricerche e documenti segreti in cui emerge una responsabilità documentata dei governi occidentali (in particolare Francia, USA, Gran Bretagna) consapevoli che per metter fine alla guerra in Bosnia Erzegovina l’unica strada era sacrificare le zone protette create nel 1993 dall’Onu stessa (risoluzione 819), supportando in un certo senso la “direttiva 7” firmata dal presidente dell’autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia, Radovan Karadžić. Questa direttiva in sintesi ordinava la “rimozione permanente” dei musulmani bosniaci dalle aree sicure protette dall’Onu.
- 8 luglio 2015: La Russia dice no alla risoluzione delle Nazioni Unite sulla definizione di genocidio riferita al massacro di Srebrenica. La Russia ha posto il veto alla bozza di risoluzione proposta dai britannici al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui si afferma “acceptance of the tragic events at Srebrenica as genocide is a prerequisite for reconciliation”. In particolare l’ambasciatore russo Vitaly ha dichiarato a motivo del veto che la bozza “non era costruttiva, ma provocatoria e motivata politicamente”.

L’11 luglio 2015 l’atmosfera è caotica, il sole a picco, i giornalisti e i fotografi sono ovunque, ansiosi di immortalare la scena più straziante delle famiglie che si raccolgono intorno alle lapidi dei loro morti. Le alternative sono quelle di rimanere in piedi o di cercare uno spazio per sedersi tra le tombe, come fa la maggior parte delle persone. La collinetta con le lapidi bianche a poco a poco così si colora. Vicino a dove sono seduta io, una donna trattiene le lacrime a stento, si avvicina a una lapide e l’abbraccia, poi viene raggiunta dai familiari che la stringono forte e le sussurrano parole di conforto. 

Srebrenica, il simbolo.
Srebrenica e Potocari sono lì tutto l’anno: ci sono 364 giorni per visitarle da soli, uno soltanto per assistere alla cerimonia formale. È possibile scegliere, oppure anche visitare questo luogo in entrambi i momenti. Sono 8.372 i bosniaci musulmani ufficialmente vittime a Srebrenica, in quello che viene considerato il primo genocidio in Europa dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Numeri contestati dai serbo bosniaci e dai serbi. Ma Srebrenica ormai è più della somma del numero delle vittime. 
Il dito è puntato un po’ contro tutti, compresi quelli che rimangono indifferenti di fronte ai massacri, nei Balcani negli anni ’90 o in altre parti del mondo oggi, spesso a pochi chilometri da casa propria, o quelli che provano a semplificarli e a banalizzarli. 
E tu, dov’eri l’11 luglio 1995?
Gallery: alcuni momenti delle commerazioni l’11 luglio 2015
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Comments
1 commentoGiovy
Lug 28, 2015Io ero lì quel 11 luglio 2005, quando le bare sfilavano davanti agli occhi di tutti. Una cosa che non dimenticherò mai
RitagliDiViaggio
Lug 28, 2015Davvero è una cerimonia impossibile da dimenticare e luogo difficilissimo da metabolizzare.
Around Srebrenica: il viaggio diventa mostra | Ritagli di Viaggio
Feb 1, 2016[…] di viaggio, che non si limitava alla visita di Srebrenica e alla partecipazione alle cerimonie del ventennale, ma comprendeva anche la scoperta di alcuni luoghi della Croazia come Jasenovac e di numerosi […]
Nico
Feb 17, 2016una guerra così vicina a noi… sembra incredibile