Conoscere l’Albania attraverso i libri dei suoi scrittori

Così vicina ma, ancora, spesso, così lontana. L’Albania e l’Italia hanno molti punti di contatto, non soltanto la (poca) distanza geografica, ma anche la storia che ha legato questi due Paesi, prima durante l’invasione fascista italiana e poi, negli anni ’90, quando sulle coste pugliesi hanno attraccato i traghetti stracolmi di profughi albanesi, in fuga dal proprio Paese dopo il crollo del regime comunista.

Eppure, nonostante tanti momenti storici in comune e la breve distanza geografica, l’Albania è per molti versi ancora un Paese sconosciuto o, peggio, cristallizzato negli stereotipi.

Per me un viaggio comincia molto prima della partenza e prosegue anche dopo il ritorno: questo significa che, quando decido di visitare un Paese, cerco di farlo nel modo più approfondito possibile, provando ad avvicinarmi alla sua cultura, alla sua politica, alla sua storia, per comprenderne poi sia il presente sia le cose da vedere. Anche alla sua letteratura.

Un modo secondo me molto interessante per avvicinarsi all’Albania è quello di leggere i romanzi dei suoi scrittori. Abbiamo la fortuna di avere molti testi a disposizione, sia perché ne sono stati tradotti diversi, sia perché molti scrittori e scrittrici – soprattutto quelli definiti della diaspora – scrivono direttamente in italiano.

In questo articolo vi propongo cinque libri di autori e autrici diversi tra loro, per stile e vissuto personale, così come le storie che raccontano, che aiutano a farsi una prima idea della storia e della cultura albanese, di ieri e di oggi.

La letteratura albanese scritta o tradotta in italiano è ricca. Ci sono molti altri autori albanesi e molti libri scritti dagli stessi autori che cito in questo articolo. Un po’ alla volta arricchirò questo articolo, in costante aggiornamento, con ulteriori letture e spunti.

1.
Titolo: APRILE SPEZZATO
Autore: Ismail Kadare
Traduzione: Liljana Cuka Maksuti
Editore: La nave di Teseo, 2019
Pagine: 222

Probabilmente il più grande scrittore della letteratura albanese contemporanea, sicuramente il più noto, Ismail Kadaré è una personalità conosciuta a livello mondiale, non solo in campo letterario, ma anche sul piano politico e sociale. Riconosciuto dal pubblico e dalla critica mondiale per la creatività e l’originalità della sua opera, tanto da apparire come il grande interprete della storia, società e cultura degli albanesi, Kadaré potrebbe essere l’autore perfetto per avvicinarsi alla letteratura albanese.

Il libro da cui partire tra la sua vasta produzione narrativa, tutta tradotta in italiano, dovrebbe essere il suo romanzo più noto: Prill i thyer, scritto del 1978 e pubblicato in Italia con il titolo Aprile spezzato nel 1981. Per molto tempo fuori catalogo, è stato pubblicato nuovamente da La Nave di Teseo. Il libro è stato anche riadatto per il cinema con il titolo Abril Desedacado (Disperato Aprile) dal regista brasiliano Walter Salles nel 2001. (Non sono riuscita a recuperarlo in alcun modo, se qualcuno ne ha notizia, batta un colpo, sarei molto curiosa di vederlo).

Il romanzo, in cui ci si immerge lentamente per poi rimanerne completamente affascinati, racconta la faida, uno dei pilastri del kanun, il più famoso codice di leggi consuetudinarie albanese, praticato soprattutto nel montuoso e selvaggio Nord dell’Albania (che dopo aver letto questo libro, peraltro, mi è venuta tantissima voglia di visitare).

Norme rigide segnano la vita delle comunità che vivono qui, costrette a fare i conti con le vendette di sangue che condannano le famiglie per generazioni a regolare ogni aspetto della propria esistenza, continuamente in sospeso tra la vita e la morte. Nessuno può sfuggire a questo destino, nonostante molti avrebbero la tentazione di farlo.

Il protagonista, Gjorg, è un ragazzo che si trova a compiere un omicidio a causa di questo codice e, di conseguenza, a dover attendere a sua volta la vendetta nei suoi confronti. Dopo l’assassinio Gjorg, come da consuetudine, ottiene una besa, ovvero una tregua di trenta giorni durante i quali nessuno potrà ucciderlo.

“Non sapeva in quale direzione procedere. Alcune volte perdeva tempo percorrendo una strada sbagliata, altre tornava involontariamente in un luogo dove era già passato. Il dubbio che non avanzasse nella giusta direzione lo tormentava sempre più. Ebbe infine l’impressione che avrebbe sempre camminato solo nella direzione sbagliata, fino a consumare quel pugno dij giorni che gli erano rimasti, infelice pellegrino sulla luna, nel suo aprile spezzato”.

libri di scrittori albanesi

Ambientata in un periodo storico precedente dell’avvento del comunismo, da metà marzo a metà aprile di un anno imprecisato, la storia procede con il ritmo di quella che può sembrare una favola anche nei contenuti, così lontani dalla nostra realtà. Invece è tutto vero e a poco a poco la tensione sale nella consapevolezza della fine ineluttabile, perché nessuno può sottrarsi al kanun.

Ma come in tutte le storie che si rispettino, c’è sempre un evento che potrebbe cambiare il corso della vicenda. In una storia di odio e di vendetta, si insinua l’amore. Un ragazzo e una ragazza si vedono per caso e rimangono turbati l’uno dall’altra. Gjorg scorge in una locanda Diana, la giovane e bella moglie di uno scrittore, in viaggio di nozze nei territori che lo sposo aveva studiato e raccontato e nei suoi libri. Diana, sicura fino a quel momento della sua vita, si trova di fronte a un sentimento nuovo, difficile da decifrare e soprattutto comincia a mettere in discussione se stessa e quello che vuole dalla vita.

In una vicenda normale i due farebbero di tutto per rivedersi e verificare il loro sentimento, ma qui siamo nell’Albania che segue le leggi del kanun. Per di più i due giovani appartengono a mondi diversi e distanti l’uno dall’altro. Possono soltanto sperare di incontrarsi di nuovo, casualmente, come è accaduto la prima volta. Arrendersi la destino o cercare di cambiarlo? E, nel caso, in che modo, mentre i giorni scorrono inesorabili?

Ovviamente non vi posso spoilerare il finale, ma vi posso assicurare che, soprattutto da un certo punto in poi, sarà difficile staccarsi dalle pagine di questo libro così affascinante.

Ismail Kadare è originario di Gjirokaster dove nacque nel 1936, si laureò all’università di Tirana e perfezionò gli studi all’ateneo di Mosca. Soggiornò in Cina, negli Usa e in Francia, dove nel 1990 ottenne asilo politico. Con la caduta del regime, tornò in patria nel 1992, dividendosi poi tra Albania e Francia. Tradotto in oltre 60 lingue del mondo, candidato più volte al premio Nobel, è membro d’onore dell’Académie française, nel 2005 gli è stata riconosciuta la prima edizione dell’International Booker Prize, nel 2009 ha vinto il premio Principe delle Asturie e nel 2018 il Premio internazionale Nonino.

Tra principali romanzi ci sono Kështjella del 1970 (I tamburi della pioggia, 1981) su un’epica difesa dall’aggressore turco, Piramida del 1992 (La piramide, 1995) vincitore del Prix Méditerranée per stranieri e in cui rievoca la storia della costruzione della piramide di Cheope, icona di un totalitarismo utopistico e Kukulla del 2015 (La bambola, La nave di Teseo 2017).

2.
Titolo: VERGINE GIURATA
Autore: Elvira Dones
Editore: La Feltrinelli, 2009
Pagine: 204

Ecco un altro romanzo che conduce il lettore alla scoperta dei principi del kanun, stavolta però da un punto di vista femminile e molto particolare. Numerose sono le scrittrici di origini albanese che si sono affermate all’estero. Elvira Dones, scrittrice, giornalista, sceneggiatrice e regista di Durazzo, dopo la laurea all’università di Tirana, nel 1988 viaggiò negli Stati Uniti e in Svizzera, dove vive ancora oggi. Ha scritto varie opere in italiano, tra cui Piccola guerra perfetta (Einaudi 2019) sulla guerra in Kosovo.

Vergine giurata, scritto in italiano dall’autrice che con questo libro ha vinto il premio Fondazione Carical Grinzane Cavour per la cultura euromediterrnaea nel 2008, riprende il tema di una particolare tradizione albanese del nord – prevista dall’antico kanun – in cui le donne, contro l’implacabile patriarcato che si impone in quella società, rinnegano la propria femminilità e conducono una vita da uomo. In sostanza le donne hanno il diritto di proclamarsi uomo, di comportarsi come uomo e di acquisire tutti i diritti che il kanun riserva esclusivamente agli uomini. Un fenomeno di cui si è parlato pochissimo fino a quando proprio Elvira Dones realizzò un documentario con protagoniste sei donne anziane che vivono come uomini. La scrittrice albanese aveva scoperto l’esistenza di queste donne per caso in una foto di una famiglia kosovara dove spiccava un uomo dal volto con tratti molto femminili.
Le donne dovevano essere vergini, la loro conversione avveniva al sopraggiungere della maturità sessuale e avrebbero dovuto mantenere la totale astensione dalla vita sessuale, da qui il nome di Vergini Giurate (Virgjinat e bitume). Il giuramento veniva fatto davanti a 12 uomini del villaggio e dopo la conversione la vergine poteva assumere un comportamento maschile, avere un nome da uomo, usare le armi, fumare, bere e mangiare con gli uomini nella stanza dove alle donne non era permesso entrare. Poteva gestire le proprietà, partecipare in guerra e alla vendetta tra i clan.

Questo tipo di conversione non aveva nulla a che fare con l’omosessualità, spesso i motivi erano economici e le vergini, figlie di un nucleo familiare privo di maschi, con questo stratagemma non avrebbero dovuto rinunciare all’eredità, non trasmissibile in linea femminile. Un altro motivo della conversione era quello di evitare la vendetta tra famiglie se la ragazza rifiutava un fidanzamento. Infine, molte donne sceglievano volontariamente questa strada semplicemente per essere più libere e non dover sottostare alle regole della rigida tradizione patriarcale.

Da questo libro è stato tratto l’omonimo film diretto da Laura Bispuri nel 2015 con protagonista Alba Rohrwacher. Io però vi suggerisco di leggere prima il libro, che io ho trovato decisamente più coinvolgente, oltre al fatto che il film racconta soltanto una parte della storia del romanzo.

libri di scrittori albanesi

La protagonista Hana, diventata Mark, dopo quattordici anni di vita al maschile nel suo villaggio, trova il coraggio di fuggire negli Stati Uniti, ospite di una cugina e della sua famiglia formata dal marito e dalla figlia Jonida, un’adolescente che guiderà Hana nel suo difficile percorso per ritrovare la femminilità perduta.

La storia non è raccontata secondo un ordine cronologico. Il primo capitolo vede Hana sbarcare negli Stati Uniti nel 2001 e solo poco alla volta conosceremo tutta la sua storia: quella di giovane studentessa dell’università di Tirana alle prese con il primo amore nel 1986, quella della sua famiglia d’origine, morta in un incidente, motivo per cui Hana viene cresciuta dagli zii con cui ha un legame di grande affetto e quella che la porterà alla sofferta decisione di diventare una vergine giurata. C’è una parentesi importante nel 1996 in cui Hana, diventata Mark, incontra la sua migliore amica ai tempi dell’università. E poi c’è la nuova vita di Hana negli Stati Uniti, che l’autrice ci racconta fino alla fine del 2003.

Lo stile è diretto e veloce, ricco di dialoghi. Grazie all’abilità dell’autrice, alla sua scrittura partecipata, diventa facile affezionarsi ad Hana, partecipare agli innumerevoli dolori della sua vita, tifare per lei, provare a capire le sue scelte, sentire le sue paure e i suoi timori. Intorno a lei, una serie di personaggi mai scontati regalano momenti emozionanti e tengono incollato il lettore a ogni singola scena.

Vergine giurata è un libro molto coinvolgente, mai banale o stereotipato, che aiuta a calarsi in una realtà tanto lontana dal nostro vissuto, quanto vicina sul piano dei sentimenti e delle emozioni.

“E adesso che farai? domanda Blerta stiracchiando le gambe. “Andrai avanti a fare l’uomo?”
Ho dimenicato di fumare, pensa Hana di colpo, e si stupisce di sé. Il tabacco non è nemmeno sul tavolo. Si alza, fruga, trova la scatola di alluminio con l’aquila a due teste incisa sul coperchio. Si siede ed estrae il tabacco.
“Non solo so,” risponde senza alzare lo sguardo. “Non è che un giorno ti fai uomo e il giorno dopo tigre o giraffa”.

3.
Titolo: ROSSO COME UNA SPOSA
Autore: Anilda Ibrahimi
Editore: Einaudi, 2009
Pagine: 261

Un’altra coinvolgente storia al femminile è quella di Rosso come una sposa, scritto dalla giornalista e scrittrice Anilda Ibrahimi, originaria di Valona, una delle autrici albanesi di maggior spicco, che vive da oltre 20 anni in Italia e scrive soltanto in italiano, dopo aver lasciato l’Albania nel 1994 trasferendosi prima in Svizzera e poi dal 1997 in Italia.

I suoi romanzi hanno spesso come protagoniste le donne e l’Albania e sono tradotti in dieci paesi. Ha scritto la raccolta di poesie Cristallo di tristezza (1996) e quattro romanzi editi da Einaudi: L’amore e gli stracci del tempo (2009) in cui si focalizza sul dramma della guerra in Kosovo, Non c’è dolcezza (2012) in cui ritorna il tema della maternità e Il tuo nome è una promessa del 2017 con cui si è aggiudicata il Premio Rapallo Carige.

Rosso come una sposa, del 2008, è il suo primo romanzo e rappresenta un racconto epico al femminile dell’Albania del primo Novecento fino alla fine del comunismo. Protagoniste sono quattro generazioni e quattro donne che, negli anni, portano avanti la vita delle famiglie.

“Una cosa già la sapevo fin da piccola: non avrei avuto una vita sentimentale facile, con tutte quelle donne in famiglia. Le donne possono essere di grande aiuto nella scoperta del mondo dei grandi, ma possono anche rovinarti. Chi ha vissuto in grandi tribù di donne sicuramente sa dicosa parlo”.

libri di scrittori albanesi

La storia del Paese viene letta attraverso la vita quotidiana delle famiglie, in cui le donne acquisiscono potere soltanto quando diventano suocere. All’inizio del romanzo, la storia è imperniata su Meliha e alla sua famiglia, ma ben presto sarà sua figlia Saba, figura chiave attorno alla quale ruoterà il senso della storia privata, ma anche sociale. Costretta a sposare a soli 15 anni il vedovo della sorella, legato alla sua famiglia da un debito di sangue, un matrimonio infelice a cui Saba dovrà sommare altre disgrazie, come lo sterminio dei fratelli, per poi alla fine ritrovare la sua dimensione con l’avvento del comunismo. Infine la storia prosegue con la figlia e Dora, la nipote di Saba, voce narrante della seconda parte storia.

La curiosità, la trasgressione, la voglia di libertà è quella delle tante protagoniste femminili, ma è, allo stesso tempo, quello di un giovane Paese alla ricerca della sua identità. La storia del Paese investe in diversi momenti quella delle famiglie, provocando lutti, abbandoni, scelte difficili, drammi personali che rispecchiano le tragedie politiche del Novecento albanese.

Il romanzo è un ricco affresco di un’epoca e permette davvero di comprendere la storia degli albanesi e le travagliate vicende del Paese. Lo stile dell’autrice è semplice e poetico, a tratti commovente, capace di spiegare la cultura di un popolo, le sue speranze e le sue debolezze. Facile farsi catturare da questa saga familiare che si legge tutta d’un fiato.

4.
Titolo: DAL TUO TERRAZZO SI VEDE CASA MIA
Autore: Elvis Malaj
Editore: Racconti edizioni, 2017
Pagine: 164

Elvis Malaj, classe 1990, in Italia con la sua famiglia da quando aveva quindici anni, è una delle voci più giovani e fresche del panorama editoriale: nel 2017 è uscita la sua prima raccolta di racconti Dal tuo terrazzo si vede casa mia, 12 racconti scritti con uno stile fresco e ironico, a momenti spiazzante.

L’esordiente Malaj prova a raccontare come sono e come percepiti gli albanesi, in Albania e in Italia. Ma lo fa con una prospettiva inedita. La scrittura è cruda e diretta, perfetta per rendere indimenticabili le storie di ordinaria quotidianità dei protagonisti dei suoi racconti. Non solo. Il tono caustico e accattivante permette di affrontare temi spinosi, come il razzismo, e di superare preconcetti e pregiudizi, in primis quelli sugli albanesi. Il tutto però viene fatto senza pedanteria, con una leggerezza che non è superficialità, ma semplicemente la necessità di rileggere gli eventi da un diverso punto di vista.

I racconti sono la fotografia disincantata di un ragazzo alle prese con una doppia identità albanese e italiana, che ha la possibilità di osservare quasi come uno spettatore esterno, calibrando le distanze da entrambe. Non si tratta però di assenza di emozioni, quanto di lasciar andare l’emotività per poter cogliere una prospettiva narrativa originale. L’amarezza, semmai, è il sentimento che filtra più spesso, grazie alla costruzione di personaggi introspettivi, alle storie non concluse, ai significati rimasti in sospeso.

Tutto sommato le cose cambiano a seconda della prospettiva da cui le si guarda, sembrano dirci l’autore e i protagonisti dei suoi racconti. Forse proprio a questo fa riferimento anche il simpatico titolo di questa raccolta di racconti di uno scrittore di cui speriamo di leggere molti altri libri dopo questo felice esordio.

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“Quando Giorgia ci ha raggiunti era incazzata: uno stronzo, approfittando della confusione, le aveva toccato il culo. Le dava fastidio perché non sapeva chi era e non poteva dirgliene quattro. Giorgia incazzata con un cafone era uno spettacolo. Ero lì quando aveva fatto diventare rosso dall’imbarazzo il suo capo davanti ai clienti e gli aveva quasi messo le mano addosso. Quando dovevo minacciare qualcuno non dicevo “chiamo i miei cugini albanesi”, dicevo “chiamo la mia ragazza italiana”.

5.
Titolo: UN UOMO DA NULLA
Autore: Fatos Kongoli
Traduzione: Eugenio Scalambrino
Editore: Argo, 1994
Pagine: 178

Uno dei maggiori esponenti della letteratura contemporanea albanese è Fatos Kongoli definito spesso “scrittore della transizione” perché scrisse i suoi libri più importanti, molti dei quali ambientati a Tirana, dopo la caduta della dittatura, dal 1990 ad oggi. Nato nel 1944 ad Elbasan, Kongoli ha studiato matematica a Pechino laureandosi poi a Tirana nel 1967. Ha lavorato a lungo come giornalista e dal 1998 si dedica esclusivamente alla scrittura.

Tra i suoi libri più noti e recenti ci sono L’ombra dell’altro (Besa, 1999), Il drago d’avorio (Besa, 2005), Pelle di cane (Argo, 2008), Il sogno di Damocle (Controluce 2013), La vita in una scatola di fiammeri (Rubbettino, 2015) e Bolero nella villa dei vecchi (Besa, 2017).

Un uomo da nulla, del 1994, sulla vita in Albania durante il periodo del regime comunista, è uno dei suoi primi libri tradotti in Italia. Kongoli racconta la storia di Thesar, un uomo comune che vive in una cittadina di provincia non troppo distante dalla capitale, partendo da un momento storico per l’Albania e non solo: la fuga verso l’Italia di migliaia di persone stipate su un traghetto. Thesar sta per diventare uno di loro, ma, all’ultimo momento, cambia idea e rimane in patria. Da quel momento, con brevi flash sul presente, ripercorre la sua storia fino a quel giorno, squarciando il velo della vita, ancora poco conosciuta e raccontata, nell’Albania della folla dittatura di Enver Hoxha.

Dal ragazzino dodicenne alle prese con le piccole guerre tra compagni di scuola che poi ritroverà adulti anni dopo, al giovane universitario che diventa amico di Ladi, figlio di un esponente delle “grandi famiglie” legate al regime e della cui cugina Sonia Thesar s’innamora perdutamente, ricambiato.

Ma durante il regime di Hoxha, specialmente negli ultimi anni, nessuno è veramente al sicuro: gli uomini fidati da un giorno all’altro possono non soltanto perdere il potere, ma venire arrestati e i loro parenti internati e perseguitati. Paure, sofferenze, rigide e assurde leggi regolano la vita dei cittadini comuni, delle loro famiglie e addirittura dei loro amici. Chi ha il potere può anche proteggere le persone a lui vicino. Allo stesso modo, se finisce sulla “lista nera”, trascinerà nell’inferno tutte le persone a stretto contatto.

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Thesar prova a sopravvivere e a cercare la felicità in un mondo con cui sente di non aver nulla a che fare, dove vincono i prepotenti, i bugiardi, le persone prive di dignità, frustrate da un’esistenza disumana, che cercano di farla franca commettendo ogni genere di bassezza. Ne uscirà più volte sconfitto, dovrà affrontare indicibili perdite e molte sofferenze lungo un percorso in cui soltanto gli affetti lasciano uno spiraglio di luce.

La scrittura di Kongoli è intensa e appassionata, la storia di Thesar estremamente inquietante e ha il merito di condurre il lettore all’interno di una realtà all’apparenza priva di senso ma che ha determinato la vita – e molto spesso la morte – di molti albanesi.

“Viene un giorno in cui all’uomo sembra di avere pagato i propri debiti con il mondo, d’aver chiuso un ciclo e gli sembra non abbia più senso rivangare il passato. Tanto più se nella sua vita non c’è nulla che possa avere qualche valore per gli altri. E allora, che vuoi? – chiederete.
Nulla. Soltanto una confessione”.

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Giornalista, blogger e autrice di guide di viaggio, non riesce ad immaginare una vita senza viaggi per scoprire nuovi luoghi e conoscere culture diverse. Ama l'arte, la natura, la fotografia, i libri e il cinema. Appassionata di Balcani e di Europa dell'Est, di Medio Oriente e Sud Est asiatico, spera di riuscire a vedere tutto il mondo possibile.

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