La Strada Militare Georgiana tra mito, storia e letteratura

“La via attraverso le montagne del Caucaso esisteva da prima della nascita di Cristo, ma era stata eletta a via militare – e quindi attrezzata a far passare carri trainati da cavalli – solo nel 1783, quando re Eraclio II aveva firmato l’accordo che aveva reso la Georgia un protettorato russo. La costruzione della strada terminò ufficialmente nel 1817, ma i lavori proseguirono fino al 1863. Congiunge Tbilisi a Vladikavkaz, nell’Ossezia del Nord, ed è lunga duecento chilometri. Molte celeberità hanno attraversato le montagne del Caucaso passando per la via militare georgiana, tra di loro Puskin, Tolstoj, Majakovskij – e anche il norvegese Knut Hamsun”. (“La frontiera”, Erika Fatland)

In poche frasi la scrittrice e antropologa norvegese Erika Fatland, autrice anche del successo tradotto in tredici paesi Soviestan, sintetizza nel suo ultimo libro, La frontiera, le principali caratteristiche della Strada Militare Georgiana, una delle vie di comunicazione che ha acceso la fantasia e la curiosità di numerosi scrittori e viaggiatori.

Ancora oggi questa strada che, dalla capitale della Georgia arriva al confine con la Russia, dopo oltre 200 chilometri di percorso serpeggiante tra le montagne, è una meta che da sola vale il viaggio nel Caucaso.

strada militare georgiana
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LA STORIA DELLA STRADA MILITARE GEORGIANA

La storia di questa strada, perlomeno da quando divenne una via di comunicazione militare, fu lunga e travagliata, motivo di scontri e di inquietudine per i popoli del Caucaso.

In alcune epoche molto importante, in altre meno, la Strada Militare Georgiana fino a giorni nostri subì chiusure e riaperture, oltre a diverse fasi di ristrutturazioni.

L’epoca degli Zar

In epoca zarista, la Strada Militare Georgiana era l’unica via di comunicazione utile ai militari per spostarsi tra le montagne: per questo motivo, dal 1799, fu costruita e ristrutturata fino all’annessione della Georgia, tra il 1801 e il 1804 e alle successive campagne militari russe contro turchi e persiani.

“L’istantaneo passaggio dal terribile Caucaso alla gradevole Georgia è incantevole. D’improvviso l’aria del Sud comincia a spirare ogni tanto sul viaggiatore. Dall’alto del monte Gut si apre la valle di Kajšaur con le sue rocce abitate, con i suoi giardini, con il suo Aragvi luminoso, che si snoda come un nastro d’argento, e tutto ciò in scala ridotta, in fondo a un precipizio di tre verste, per il quale corre una strada pericolosa”. (“Viaggio a Arzurum”, Aleksandr Pushkin)

Così descrive il percorso che attraversa il passo Jvari Aleksandr Pushkin nel suo Viaggio a Arzurum, diario in cui lo scrittore racconta il viaggio compiuto nel 1829 verso l’Anatolia, dove l’esercito zarista stava combattendo contro i turchi.

La costruzione di questa arteria provocò numerosi malumori, ad esempio tra i ceceni, le cui ribellioni per il timore di perdere la propria indipendenza portarono a una guerra che terminò soltanto nel 1864.

La perdita di importanza nel Novecento

Alla fine dell’Ottocento, in realtà, l’importanza di questa strada venne soppiantata dalle linee ferroviarie realizzate lungo le coste del Mar Nero e del Mar Caspio.

Nel Novecento il passo di Jvari divenne un’attrazione turistica e, alla fine dell’epoca sovietica, il luogo divenne un simbolo.

L’annessione della Georgia alla Russia

Il Monumento dell’Amicizia costruito nel 1983 nei pressi del passo di Jvari, in un luogo spettacolare dal punto di vista paesaggistico, celebra il bicentenario del trattato di Georgievsk, l’accordo del 1783 che, pur senza sancire formalmente l’annessione della Georgia, decretò la protezione della Russia dagli attacchi dei turchi e dei persiani.

La protezione in realtà venne disattesa, causando l’attacco dei persiani pochi anni dopo e lo sterminio di un gran numero di georgiani. Questo fu il pretesto che gli zar usarono per dimostrare la necessità di protezione della Georgia e giustificarne l’annessione nel 1801, sancita poi nel 1813, al termine della guerra tra Russia e Persia.

Dal 1983 al 1991, anno dell’indipendenza della Georgia, ci fu il tentativo di realizzare una line ferrovia che collegasse Tbilisi e Vladikavkaz, ma il progetto si arenò nel 1987 quando un gruppo di intellettuali georgiani sottoscrissero una petizione al Cremlino per fermare l’opera apponendo motivazioni ambientaliste che in realtà celavano la mai sopita causa nazionalista.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica la Strada Militare Georgiana è tornata ad essere un’importante via di comunicazione tra la Georgia e la Russia.

La strada divenne la via più diretta e veloce da Tbilisi al confine russo, dopo la chiusura delle arterie stradali e ferroviarie che passano attraverso i territori di Abcasia e Ossezia del sud, oltre ad essere l’unica via di collegamento tra l’Armenia e la Russia.

La frontiera è rimasta chiusa soltanto tra il 2006 e il 2013, a causa della guerra tra Russia e Georgia del 2008.

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LE TAPPE LUNGO LA STRADA MILITARE GEORGIANA

“Lenta ma determinata, la fila di camion avanzava serpeggiando verso il confine russo, ben sapendo di avere davanti ancora parecchie ore di strada scivolosa e in condizioni disastrate; probabilmente la maggior parte dei mezzi era diretta alle grandi città del nord della Russia. (…) Le code al confine possono allungarsi per chilometri e non di rado i camionisti sono costretti ad aspettare ore, a volte persino giorni, prima di poter passare. Quando c’è brutto tempo, cosa che in inverno succede spesso, capita che la strada venga chiusa per giorni e giorni, talvolta addirittura settimane”. (“La frontiera”, Erika Fatland)

C’è chi fa questo percorso in giornata, partendo da Tbilisi e rientrando nella capitale. Io ho preferito fermarmi a dormire a metà strada all’andata, in modo da partire all’alba il giorno successivo, evitare per quanto possibile le file di camion e arrivare al termine del percorso verso l’ora di pranzo, in modo da avere il tempo di fare una passeggiata e fare qualche tappa al ritorno. Ci si può organizzare in vari modi: ovviamente, come sempre, il massimo sarebbe avere più giorni a disposizione per godere la magia di questo luogo.

Qui di seguito inserisco le 3-4 tappe fondamentali in cui fermarsi almeno brevemente durante l’itinerario.

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La fortezza di Ananuri

Provenendo da Tbilisi, la prima tappa, lungo la Strada Militare Georgiana, a circa 70 km dalla capitale, è la fortezza di Ananuri. Non siamo ancora in alta montagna e la strada si snoda tra le colline e le valli. In una posizione scenografica, affacciata sull’ampio lago artificiale di Zhinvali, sul lato destra della strada, appare quasi all’improvviso l’imponente mole della Fortezza di Ananuri, proprietà dei duchi dell’Aragvi, gli spietati feudatari che governarono questa zona fino alla Valle del Tergi dal XIII al XVIII secolo.

Si tratta di uno dei complessi architettonici meglio conservati e più interessanti dal punto di vista stilistico: la parte alta è composta da due chiese e una torre di guardia circondate da possenti mura merlate, mentre la parte bassa ospita la cittadella, di cui però oggi rimangono solo alcune rovine.

All’esterno della fortezza c’è un bazar turistico dove è possibile acquistare qualche comune souvenir o una bibita fresca. Alla fortezza si accede imboccando il breve sentiero sulla destra che conduce all’entrata del maniero.

Inglobate all’interno della fortezza ci sono due chiese del XVII secolo. La più grande e interessante è la Chiesa della Madre di Dio del 1689, che ospita al suo interno frammenti di affreschi del XVII e del XVIII secolo, in gran parte rovinati a causa di un incendio. Le mura esterne presenta un intaglio a forma di grande croce intrecciata da tralci di vite, fiori e animali. I dipinti murali all’interno raffigurano i Tredici Padri Siri.

La Chiesa più piccola è dedicata alla Vergine, venne realizzata nella prima metà del XVII secolo e ospita le tombe dei duchi di Aragvi, oltre a una lapide che commemora il duca di Edisher, morto prematuramente nel 1674 senza lasciare figli.

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Gudauri, il Passo di Jvari e il Monumento dell’Amicizia

Proseguendo lungo la strada, dopo aver superato il villaggio di Passanauri e proseguito lungo una strada tutta curve che sale a serpentina, si giunge a Gudauri e al passo di Jvari, ovvero delle Croce, il punto più alto dell’intera Strada Militare Georgiana (2379 mt s.l.m.).

Gudauri è una località sciistica, il punto lungo tutta la strada in cui si possono vedere alcune case e possibilità di alloggio, oltre a un simpatico, per quanto turistico, mercatino di prodotti locali, dai formaggi ai colbacchi di pelo, proprio lungo il sentiero che conduce al famoso Monumento all’Amicizia dei Popoli di Russia e Georgia, chiamato anche Arco dell’amicizia dei popoli, realizzato nel 1983 dall’artista sovietico Zurab Cereteli per celebrare il bicentenario del trattato di Georgievsk del 1783 e la (più presunta che reale) amicizia tra i popoli della Repubblica Socialista Sovietica Georgiana e della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.

Il monumento è un arco semicircolare di pietra e cemento posto in uno dei luoghi più panoramici della meravigliosa Valle del Diavolo ed è visibile già da molto lontano. Ad attrarre l’attenzione sono soprattutto gli sgargianti – e fotografatissimi – murales di piastrelle colorate che decorano l’interno dell’arco e raffigurano episodi della storia georgiana e di quella russa, per glorificarne la memoria.
Lo descrive benissimo, ancora una volta, Erika Fatland.

Si tratta di una tappa imprescindibile per chi viaggia da queste parti e infatti troverete questo luogo così pittoresco sempre affollato di persone. Date un’occhiata in giro anche al resto del panorama della valle: in basso si scorge un laghetto dalle acque verdissime. Penso che esista una qualche strada per raggiungerlo, non ho avuto il tempo di verificare, ma se qualcuno avrà voglia di fermarsi magari un giorno in più da queste parti, sono certa che esistano escursioni di grande bellezza nei dintorni.

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“Se alle opere commemorative sovietiche mancavano eleganza e stile, recuperavano però grazie alla loro posizione. Il monumento all’amicizia russo-georgiana era strategicamente collocato sul bordo di un altopiano da cui la vista spazia libera, affacciato su una valle profonda e disabitata circondata da montagne imbiancate di neve. Il monumento in sé mal si accordava all’incanto dell’ambiente circostante: un semicerchio in muratura e cemento su cui sono raffigurati insieme compagni russi e georgiani felici e dipinti con colori accesi. I russi sono biondi con gli occhi azzurri, le spalle larghe, e i cavalli bianchi e fieri, mentre gli autoctoni sono rappresentati in pose miti e danzanti, vestiti con gli abiti tradizionali”. (“La frontiera”, Erika Fatland).

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Superato Gadauri si arriva al villaggio di Kobi da dove inizia la Valle di Truso: da qui in poi si aprono meravigliosi paesaggi che sembrano immersi nel nulla a parte la presenza alcune vecchie torri difensive, caseggiati e vecchi mezzi abbandonati sul ciglio della strada da chissà quanto tempo.

La valle è spoglia di alberi e offre un paesaggio unico grazie alla sua conformazione geologica e la ricchezza di acque minerali dei fiumi. Lo scenario è circondato dalle alte montagne che regalano all’intero ambiente un fascino ineguagliabile.

In questa zona del Caucaso è ambientato anche il famoso romanzo “Un uomo del nostro tempo” di Michail Lermontov, una serie di racconti che hanno come protagonista, Grigorij Pečorin, un ufficiale dell’esercito imperiale russo. Il libro di Lermontov, uno dei maggiori scrittori dell’Ottocento, è considerato una delle pietre miliari su cui si è fondata la grande costruzione del romanzo russo dell’Ottocento.

“(…) la strada infatti è pericolosa: a destra incombevano sopra le nostre teste cumuli di neve che sembravano lì-lì per precipitare nella gola al primo soffio di vento; la strada era stretta e in parte coperta di neve che, in taluni punti, sprofondava sotto i piedi, in altri si era trasformata in ghiaccio per l’azione dei raggi del sole e dei geli notturni, di modo che noi stessi riuscivamo a stento a passare e i cavalli cadevano; a sinistra si spalancava un profondo dirupo in fondo al quale scorreva un torrente, ora nascondendosi sotto una scorza di ghiaccio, ora saltellando e spumeggiando sopra i sassi neri. In due ore riuscimmo a malapena ad aggirare la montagna Krestovaja (…) Dovevamo ancora scendere per rocce ghiacciate e neve molle per raggiungere la stazione di Kobi. I cavalli erano sfiniti, noi eravamo intirizziti; la tormenta fischiava sempre più forte come quella a noi familiare del nord, soltanto le sue selvagge canzoni erano più tristi, più desolate”. (“Un eroe del nostro tempo”, Michail Lermonov)

Stepantsminda e Kazbegi

Dopo qualche chilometro e alcuni tunnel – fortunatamente brevi e percorribili abbastanza facilmente in assenza di ghiaccio e neve -, si giunge al villaggio di Stepantsminda (Santo Stefano in georgiano). Siamo a quota 1700 metri, lungo le rive del fiume Tergi. In passato il villaggio era denominato Kazbegi, dal nome di una nobile famiglia locale, i Kazi Bek.

Questo è il cuore della catena del Caucaso Maggiore, ai piedi del monte Kazbegi, il più famoso della Georgia e il paesaggio è tanto imponente quanto difficile da descrivere.

Alcune case sparse introducono al centro del paese, sulla cui piazza centrale campeggia la statua di Aleksandre Kazbegi, alpinista e scrittore ottocentesco georgiano che qui nacque e visse (c’è ancora la sua casa natale, nel cui giardino si trova la tomba dello scrittore).

Il suo romanzo più famoso, The Patricide, pubblicato per la prima volta nel 1882, è una storia d’amore, ma affronta anche molte questioni sociopolitiche della Georgia del XIX secolo. Ambientato nella Georgia del XIX secolo, quando il Paese fu occupato dall’Impero russo, il romanzo è ambientato a Khevi, una regione intorno al monte Kazbeg. Il protagonista è Koba, una sorta di Robin Hood caucasico che difende i poveri, disprezza l’autorità, ma è anche propenso alla violenza e alla vendetta. Si dice che il personaggio ideato da Kazbegi fu di ispirazione per Joseph Stalin, che usò Koba come pseudonimo rivoluzionario. Se siete curiosi di dare un’occhiata, esiste la versione online in georgiano del romanzo di Kazbegi.

La piazza del paese è il punto di ritrovo dei bus turistici per le escursioni, oltre che la zona in cui si concentra il maggior numero di bar e ristoranti ideali per una sosta.

Il monte Kazbegi è avvolto da molti miti e leggende. Una delle più famose racconta che Amirani, il Prometeo georgiano, dopo aver rubato il fuoco agli dei per darlo agli uomini, venne condannato all’esilio in una grotta sul monte, chiamata Betlemi, a circa 4000 metri di altezza. Un po’ alla volta la grotta divenne meta di pellegrinaggio di monaci ortodossi fino ad essere considerata luogo sacro dalla stessa chiesa.

La grotta di Betlemi venne raccontata anche nel poema L’eremita di Ilia Chavchavadze, scrittore e politico che guidò la rinascita del movimento nazionale georgiano, venne canonizzato e oggi è venerato come il “Padre della Nazione”. In uno dei suoi testi più famosi, l’Agenda del viaggiatore, Chavchavadze delinea l’importanza della costruzione della nazione e fornisce un confronto allegorico con il Monte Kazbegi e il fiume Tergi .

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La Chiesa di Tsiminda Sameba (Santa Trinità) di Gergeti

Sopra il villaggio di Stepantsminda, in posizione a dir poco scenografica, si trova arroccata su una collina la chiesetta di Tsiminda Sameba, detta anche chiesa di Gergeti, diventata la cartolina più famosa della Georgia, grazie allo scenografico panorama che si gode dal belvedere naturale davanti alla chiesa.

La strada per raggiungerla è asfaltata, dunque, a meno che non sia ricoperta di neve o ghiaccio, si può raggiungere anche con un’utilitaria e sicuramente con un 4X4. L’alternativa, che molti scelgono per il piacere di fare una bella passeggiata, è quella di arrivarci a piedi in circa un’ora di salita, seguendo comunque la strada destinata anche alle auto.

La chiesa è ancora oggi un luogo di culto molto frequentato, dunque sono molti i fedeli che vengono qui per assistere alle messe e non soltanto per godersi il paesaggio. La chiesa è molto piccola, è possibile entrare soltanto se dotati di un abbigliamento consono ed è vietato scattare fotografie all’interno.

La struttura risale al XIV secolo, mentre la torre campanaria è del XVI secolo. La chiesa e il campanile sono circondati da un solido muro di pietra che si collega ad un altro spazio chiuso dove in passato si riuniva il consiglio degli anziani.

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“Quando finalmente arrivammo in cima capii perché Julia aveva insistito. Alla nostra destra s’innalzava il monte Kazbek, il più alto della Georgia. In georgiano si chiama Mkinvartsveri, ovvero “punta di ghiaccio”, e raggiunge i 5033 metri. Metà montagna si trova in Georgia, mentre l’altra metà è sul versante russo, nella repubblica dell’Ossezia del Nord. (…) Su un’altura a qualche metro da noi, ben radicata nel suolo georgiano, c’era una chiesetta di pietra con una torre a punta. La riconobbi subito per averla vista sulle cartoline dei negozi di souvenir a Tbilisi. Facemmo l’ultimo pezzo fino all’edificio, indossammo le gonne a portafoglio disposte appositamente all’ingresso, ci coprimmo la testa ed entrammo” (“La frontiera”, Erika Fatland)

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Il Nobel norvegese Knut Hamsun nel 1899 viaggiò dalla Finlandia a San Pietroburgo e, quindi, attraverso Vladikavkaz, arrivò in Georgia e Azerbaigian. Il primo incontro dello scrittore con la Georgia fu il Monte Kazbegi, una delle montagne più alte del Caucaso centrale, lungo la Strada Militare Georgiana. L’incredibile vetta bianca raggiunge i 5047 metri e regala un’impressione di eternità.

“All’improvviso dopo una brusca curva, un grande divario si apre a destra e vediamo abbastanza vicino a noi il picco di ghiaccio di Kasbeg con i suoi ghiacciai scintillanti bianchi nel sole splendente. Si trova vicino a noi, silenzioso, alto e muto. Uno strano la sensazione si precipita attraverso di noi, la montagna sta lì come se fosse cresciuta dagli altri, è come una creatura di un altro mondo che sta lì a guardarci [..] È come se stessi affrontando Dio ”. (“Nel paese delle fiabe – vissuto e sognato nel Caucaso”, Knut Hamsun)

Come dargli torto?

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Giornalista, blogger e autrice di guide di viaggio, non riesce ad immaginare una vita senza viaggi per scoprire nuovi luoghi e conoscere culture diverse. Ama l'arte, la natura, la fotografia, i libri e il cinema. Appassionata di Balcani e di Europa dell'Est, di Medio Oriente e Sud Est asiatico, spera di riuscire a vedere tutto il mondo possibile.

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