Viaggiare attraverso le immagini si può. E si possono fare anche viaggi molto originali, come ci insegna il Magazzino delle Idee Trieste che ha preparato per il 2023 alcuni viaggi davvero imperdibili per chi vuole scoprire autori, Paesi e modi di fare fotografia diversi dal solito.
Fino all’11 giugno 2023 è aperta al pubblico la mostra Ritratti Africani. Seydou Keïta, Malick Sidibé, Samuel Fosso, a cura di Filippo Moggia, organizzata dall’Erpac.
Per la prima volta in Italia una selezione di più di cento opere di tre protagonisti della fotografia africana dell’ultimo mezzo secolo. È un evento unico, a 25 anni di distanza dalla mostra che ha visto i 3 fotografi protagonisti presso i magazzini Tati di Parigi, ed è la terza volta che le loro opere verranno esposte insieme in un dialogo esclusivo.
Rispetto alle mostre di fotografi europei e americani che siamo abituati a vedere balza all’occhio la prima novità: i tre grandi fotografi africani ci svelano il loro continente non attraverso il reportage, tipico della fotografia occidentale, ma attraverso lo stile più rappresentativo della loro cultura, ovvero il ritratto.
Tutti i tre fotografi nascono da famiglie modeste e iniziano la loro attività a Bamako, la capitale del Mali. Le immagini mostrano un’epoca cruciale per la storia del Paese e dell’Africa in generale. Si tratta infatti degli anni prima e dopo l’indipendenza del Mali, avvenuta nel 1960. La società, a partire dagli anni Cinquanta muta rapidamente, sia grazie all’indipendenza politica sia al desiderio dei giovani africani di stare al passo con i coetanei europei.
Keïta è attivo negli anni che precedono l’indipendenza del Mali, Sidibé vive e racconta l’epoca subito dopo la ritrovata libertà del Paese, infine Fosso è di una generazione successiva, quella in cui molti Paesi africani raggiungono l’indipendenza. Il mutare della società è il filo narrativo che si riflette anche nelle loro fotografia, sia come contenuti sia come stile.
Una mostra da vedere per scoprire l’esistenza di una fotografia potente e a lungo trascurata dal mondo occidentale. E per vedere l’Africa fuori dagli stereotipi, con gli occhi dei suoi fotografi.
La mostra è accompagnata anche da un bellissimo catalogo di 144 pagine e 110 immagini, a cura di Filippo Moggia e pubblicato da Electa, che racconta l’evoluzione della fotografia e della società in cui operarono i tre fotografi,
𝗦𝗲𝘆𝗱𝗼𝘂 𝗞𝗲𝗶̈𝘁𝗮
𝗦𝗲𝘆𝗱𝗼𝘂 𝗞𝗲𝗶̈𝘁𝗮 fotografa gli anni di transizione e di ricerca della identità del Mali, non ancora indipendente. La borghesia si mette in posa davanti al suo obiettivo con gli abiti tradizionali che si confondono con le stoffe dello sfondo. Si tratta di un artificio inventato dal fotografo per rendere l’immagine sfarzosa e donare autorevolezza al soggetto. Sarà anche la sua cifra stilistica più famosa.
Nasce a Bamako, capitale del Mali, tra il 1921 e il 1923, inizia a fotografare nel 1935 con una macchina ricevuta in regalo e nel 1948 apre il suo studio che in breve tempo diventa anche un luogo di incontro per la borghesia locale. Nel 1962 inizia a lavorare per il governo del Mali che due anni prima ha ottenuto l’indipendenza. Lo studio chiude nel 1977 e il fotografo morirà a Parigi nel 2001.
Pur non avendo ambizioni artistiche, i ritratti sono documenti storici, antropologici e sociali, sono lo specchio di un’epoca e di una cultura, oltre che un prodotto artistico per la scelta dei fondali, degli oggetti di scena, dell’armonia della foto che rappresenta i soggetti come essi stessi si vedono e vogliono essere visti. Donne, bambini, uomini si mettono in posa davanti all’obbiettivo con la dignità e la fierezza che traspare dai loro sguardi rivolti alla macchina fotografica.
𝗠𝗮𝗹𝗶𝗰𝗸 𝗦𝗶𝗱𝗶𝗯𝗲́
𝗠𝗮𝗹𝗶𝗰𝗸 𝗦𝗶𝗱𝗶𝗯𝗲́, forse il più conosciuto, testimonia l’esuberanza e l’orgoglio della nuova identità del Mali indipendente, con la vita dei giovani degli anni ’70, le feste dei night club che vanno avanti fino all’alba e terminano lungo le sponde del Niger.
Nasce nel 1936 a Soloba, a 300 da Bamako, la capitale del Maili, dove si trasferisce per studiare e apprendere i primi rudimenti della fotografia e dove apre il suo studio nel 1962 nel quartiere popolare della città in cui inizia la sua attività di fotografo ritrattista (morirà qui nel 2016).
Il clima in Mali in questo momento è di grande entusiasmo, sia guarda all’Europa, ma non più come colonia, si seguono le nuove mode e si cerca di farle proprie. Sono gli anni Settanta e la generazione che fotografa Sidibé è quella dei giovani che vogliono fare festa, esuberanti e alla moda, che si travestono da musicisti o militari e che sfrecciano in città sulla propria motocicletta.
𝗦𝗮𝗺𝘂𝗲𝗹 𝗙𝗼𝘀𝘀𝗼
Il caso di 𝗦𝗮𝗺𝘂𝗲𝗹 𝗙𝗼𝘀𝘀𝗼 è diverso, rispetto agli altri due fotografi. Lui è di una generazione successiva, alterna il bianco e il nero al colore e soprattutto rompe gli schemi attraverso originali autoritratti, con i più diversi costumi con cui racconta un’epoca e celebra l’identità africana.
I suoi scatti sono a dir poco sorprendenti. Con ironia interpreta gli stereotipi dell’Africa vista con gli occhi dell’Occidente oppure assume letteramente i panni, travestendosi, delle figure simbolo dell’emancipazione dei neri, a partire da Malcolm X. Un lavoro straordinario, che merita di essere conosciuto al grande pubblico.
Samuel Fosso nasce in Camerun nel 1962 e trascorre la sua infanzia in Nigeria. Nel 1972 si trasferisce a Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana per lavorare nella fabbrica di scarpe dello zio.
A 12 comincia ad appassionarsi di fotografia e a lavorare come assistente fotografo, un anno dopo apre il suo studio e, quasi per gioco, inizia a fotografare se stesso. Indossa abiti occidentali, come pantaloni a zampa e camicie attillate, imita le pose degli artisti sulle copertine dei dischi.
La sua ricerca prosegue negli anni successivi. Nel 1997 nella serie “Tati” per alcuni grandi magazzini francesi indossa costumi scenografici e interpreta vari personaggi. Si tratta di autoritratti creativi, vere e proprie performance con cui il fotografo continua la ricerca della sua identità e di quella del suo Paese.