Agosto è finito: qualcuno è stato in vacanza, qualcun altro è rimasto a casa, più o meno tutti hanno percepito il clima un po’ sospeso di questo periodo, anche solo a causa delle città un po’ più vuote e dei negozi un po’ più chiusi. Settembre coincide con il rientro, anche per chi non va più a scuola. Predispone ai nuovi inizi, anche per chi ha a che fare soltanto con la quotidianità, che comprende i piccoli o grandi problemi irrisolti che tutti noi affrontiamo nella vita e che, se possiamo, mettiamo in pausa durante le vacanze.
Quest’anno però è diverso. L’inizio corrisponde con la presa d’atto che stiamo vivendo una delle più grandi tragedie umanitarie. Migliaia di persone di altri Paesi, lontani e diversi dal nostro, stanno tentando di fuggire dalle loro terre per cercare rifugio e una nuova vita da qualche altre parte in Europa. Tutto questo non è cominciato ieri, ma ora la percezione di quello che sta accadendo diventa di giorno in giorno più forte, complici sia le immagini di morti grandi e piccoli sulle spiagge che vediamo girare sul web prima ancora che sulla carta stampata e in tv, sia la presenza fisica di stranieri che vediamo vagare nelle nostre città.


Il miglior insegnamento, di solito, è l’esempio.
A me è capitato con i viaggi. Mi è sempre piaciuto partire per mete poco conosciute e battute, anche se vicine dal punto di vista geografico. Come ad esempio i Balcani. Quando anni fa ho cominciato ad andare in Bosnia o più recentemente in Albania, alcuni mi hanno chiesto: “Ma cosa vai a vedere là?”. Perché è normale pensare che il viaggio coincida con la visita a musei e la scoperta di monumenti o paesaggi. Tutte cose che, peraltro, io amo fare. Tutte cose che esistono ovunque, soltanto che lo ignoriamo. “Vado a vedere quello che c’è”, è sempre stata la mia risposta. Perché penso che avere la possibilità di andare a vedere quello che c’è in altre parti del mondo sia una delle cose più interessanti da fare nella vita. E quando torno, non soltanto sana e salva da questi luoghi, ma soprattutto arricchita da storie e incontri e con tante belle foto da mostrare, mi accorgo che la paura negli altri diminuisce. E che cominciano le domande e l’interesse. Significa che sono riuscita, soltanto con l’esempio, senza tentare di convincere nessuno, a creare una breccia in quella paura.

Sarebbe bello che i Governi dei vari Paesi europei decidessero di gestire davvero questa emergenza umanitaria e, ad esempio, chiamassero a raccolta quelli che non hanno paura. E sarebbe bello che ognuno di noi cercasse di capire quello che può fare per dare una mano, mettendo in pausa per un attimo il proprio quotidiano. Così dovrebbe cominciare questo settembre per essere davvero il migliore dei nuovi inizi.
Le immagini di questo post le ho scattate nella Galleria d’arte della città di Sofia, una delle mete del mio viaggio di agosto.




