Amo l’atmosfera del festival. Le persone in giro per la città con i cordini colorati dei pass appesi al collo. L’atmosfera impegnata e nello stesso tempo da vacanza. La possibilità di bere un aperitivo allo stesso tavolo di registi e protagonisti delle pellicole proiettate. Il tempo scandito dal ritmo incalzante delle proiezioni più che dalle tradizionali ore del giorno e della sera. E tutto questo è garantito anche dal festival Le Voci dell’Inchiesta, capace di portare in una città piccola come Pordenone, in una regione altrettanto piccola come il Friuli Venezia Giulia i migliori documentari d’indagine prodotti negli ultimi anni sulla scena internazionale. Un’occasione unica per chiunque abbia la curiosità di capire qualcosa di più della complessa epoca che stiamo vivendo.
Storie drammatiche ma anche ironiche, scenari di guerra alternati a momenti di quotidianità, nelle più svariate parti di mondo, che alcuni registi hanno avuto il coraggio di andare ad indagare. È difficile riassumere il caleidoscopio di storie e di emozioni che in pochissimi giorni attraversa questo festival. Mi limiterò quindi a raccontarvi i reportage che mi sono piaciuti di più, nella speranza che siano distribuiti in qualche sala italiana e che magari qualcuno di voi abbia l’occasione di vederli, seguendo l’esempio dei seimila spettatori – un record quest’anno – che hanno affollato le sale di Cinemazero, nonostante il weekend di sole.
Ecco la mia personale classifica. I film che ho amato di più, tra quelli che sono riuscita a vedere.
China’s Van Goghs di Yu Haibo, Yu Kiki (Cina, Paesi Bassi, 2016)
Presentato all’IDFA-International Film Festival Amsterdam 2016
Avete mai pensato chi dipinge le copie dei quadri di artisti famosi che si vendono nelle bancarelle di tutte le città turistiche? Oppure le avete comprate senza pensarci troppo? O invece avete tirato dritto, lanciando loro soltanto uno sguardo distratto? Io non ci ho mai pensato troppo, ma dopo aver visto questo docufilm – anteprima nazionale – so già che non riuscirò a pensare ad altro ogni volta che vedrò una riproduzione di questo genere. I registi cinesi – padre e figlia – di questa pellicola sono riusciti a realizzare un prodotto che è pura Poesia raccontando la storia di un pittore cinese e della sua squadra che per anni realizza copie di quadri di Van Gogh desinati al mercato europeo. Uno dei migliori clienti è di Amsterdam e il protagonista immagina sia il proprietario di una galleria d’arte. Quando lo invita in Olanda e scopre che in realtà lavora in una bancarella di fronte alla piazza che ospita il museo di Van Gogh e vende le copie al triplo del prezzo pagato, la delusione è tanta. Ma tornerà in Cina con un dono più prezioso del denaro, contagiato dallo spirito di Van Gogh, dalla sua passione per la pittura e proverà a dipingere soggetti originali, affinando allo stesso tempo la tecnica acquisita negli anni.
Dugma: The Button di Paul Salahdin Refsdal (Norvegia, 2016)
Miglior Documentario a Amnada Award (Norvegia) e Hot Docs (Canada)
Paul Salahadin Refsdal, regista e reporter di guerra norvegese, prova a raccontare la vita quotidiana dei jiahdisti di Al-Nusra che combattono contro Assad in Siria. Un tema ambizioso e di grande attualità, che il coraggioso reporter ha affrontato dopo aver trascorso sei settimane con queste persone. “I primi contatti sono iniziati nel 2013 per poi terminare il film nel 2016 – ha raccontato il regista presente in sala – Ho avuto questa possibilità perché in passato avevo girato un documentario sui talebani ed ero così finito nella lista dei giornalisti buoni”. Emerge così la faccia più privata e intima degli aspiranti kamikaze in un docufilm – anteprima nazionale – che tutti dovrebbero vedere ma che le tv fanno fatica a trasmettere per timore delle reazioni del pubblico. “Il ruolo della famiglia è molto importante per determinare la scelta finale di queste persone – evidenzia Salahadin Refsdal – uno dei due protagonisti sembra più spinto dal padre che non dalla volontà personale, l’altro invece alla fine sarà frenato dalla moglie”. In ogni caso, nessuno dei protagonisti del film fino ad oggi ha premuto “quel” pulsante. Un documentario che lascia senza fiato e che offre un contributo importante per provare a farsi le domande giuste.
Waiting for Giraffes di Marco de Stefanis (Olanda, Belgio, 2016)
Presentato all’Amsterdam International Documentary Film Festival 2016
Vittime o carnefici: ce li immaginiamo così di solito i Palestinesi. Per questo Marco de Stefanis, regista italiano che vive in Olanda, ha deciso di raccontare con Waiting for giraffes (anteprima nazionale e secondo posto come premio del pubblico a Le Voci dell’Inchiesta) una delle tante storie di gente comune che vive in Palestina, quella del veterinario Sami Khader dello zoo di Qalquilya, nella West Bank. Anche per questo probabilmente il pubblico di Cinemazero si è spellato le mani per applaudire il regista e il protagonista presenti in sala. E non pochi si sono commossi. Perché Waiting for Giraffes “racconta il conflitto israelo-palestinese senza parlarne mai”. Perché è un film di una delicatezza e profondità sconcertanti. “La situazione in Palestina non è stabile, può cambiare tutto anche in pochi secondi” ha spiegato Khader. Proprio per questo la sua volontà di ampliare il suo zoo, ripopolarlo di animali – molti dei quali sono morti durante l’ultima intifada – e aderire all’associazione europea degli zoo, è un’impresa eroica. Ad aiutarlo sarà il direttore dello zoo israeliano, che già diverse volte ha aiutato il vicino regalando animali e macchinari di seconda mano. “Il problema sono i governi, non le persone” dirà più volte Khader, mentre il film mostra gli abitanti della cittadina palestinese, completamente circondati dagli israeliani, che determinano anche le più banali attività della vita quotidiana di chi vive chiuso, come nella gabbia di uno zoo. Oltre all’anteprima di Pordenone, il documentario è stato proiettato a Firenze domenica 9 aprile a Roma martedì 11 aprile.
The Confession di Ashis Ghadiali (UK, 2016)
Candidato come Miglior Documentario al British Indipendent Film Award 2016
The Confession (anteprima nazionale) è uno di quei film che, già da quando scorrono i titoli di coda, ti viene voglia di rivedere, nel timore di esserti perso qualcosa. Il documentario diretto dal regista inglese Ashis Ghadiali racconta la storia di Moazzam Begg, inglese-pakistano di seconda generazione, musulmano accusato di terrorismo e imprigionato in Pakistan, a Guantanamo e in Inghilterra ma sempre rilasciato da innocente. Begg ha supportato i Mujahideen durante la guerra in Bosnia e in Cecenia, è stato nell’Afghanistan dei talebani e nella Siria dei ribelli, ma si è sempre dichiarato contro l’Isis e contro ogni forma di attacco contro i civili. Cosa si intende per “jihad difensiva”? Qual è il senso comune dell’umanità? Cosa sappiamo davvero del cosiddetto estremismo islamico? Un documentario – in cui il racconto del protagonista è alternato a materiali d’archivio – che fa riflettere parecchio. E che al termine della visione lascia spazio più a ulteriori domande che a risposte, ma che di certo apre la mente per provare a capire che non tutto quello che ci viene mostrato corrisponde alla realtà. Ospite in sala a Cinemazero, il regista Ashish Ghadiali e in collegamento skype da Birmingham il protagonista Moazzam Begg intervistati dal coordinatore del festival Riccardo Costantini.
Forever Pure di Maya Zinshtein (Israele, Irlanda, Inghilterra, Norvegia, 2016)
Premio per la Miglior Regia Jerusalem Film Festival 2016
Il Beitar di Gerusalemme è una squadra dichiaratamente razzista. Era possibile immaginare quindi cosa sarebbe successo nel momento in cui il magnate russo proprietario del team decide di inserire in squadra due giocatori musulmani provenienti dalla Cecenia. Lo scontro ideologico sfocia nell’aperto contrasto tra la squadra e la sua tifoseria. La documentarista israeliana di origini russe Maya Zinshtein segue la vicenda per due anni e, non con poche difficoltà, riesce ad entrare in questo mondo fatto esclusivamente di uomini, a volte violenti, per i quali la squadra e i valori attribuiti ad essa diventano questione di vita e di morte. Nello stesso tempo riesce a raccontare con le immagini più che con le parole il terribile vissuto dei due giocatori musulmani. Anche questo documentario è stato proiettato in anteprima nazionale. Ospite in sala Gianni De Biasi, allenatore della nazionale albanese che è riuscito per la prima volta a portare la squadra agli Europei 2016 ha raccontato la difficoltà, anche nel mondo dello sport, di trovare l’equilibrio in una società multiculturale.
Il Premio del pubblico alla decima edizione del festival di Cinemazero è stato vinto da La Chana di Lucija Stojevic, film-documentario che putroppo non sono riuscita a vedere e che racconta la vita della più celebre danzatrice di flamenco di tutti i tempi, la gitana Antonia Santiago Amador.
Comments
1 commentoLilly
Apr 13, 2017Non conoscevo questo festival, come si vede che sono fuori da tanto. Interessanti i film che hai menzionati, proverò a cercarli.
RitagliDiViaggio
Apr 13, 2017Io lo conoscevo ma per un motivo o l’altro non ero mai riuscita a seguirlo bene. Quest’anno sono rimasta davvero colpita dai contenuti di altissima qualità e davvero molto interessanti. Se ti capita di vederne qualcuno, sappimi dire la tua opinione!