È il 1947 e tra Oriente e Occidente è calata la cortina di ferro quando lo scrittore americano John Steinbeck (Premio Nobel per la Letteratura nel 1962) e il fotografo Robert Capa (fondatore dell’Agenzia Magnum e conosciuto con l’appellativo di “fotografo delle cinque guerre”, che sarebbe morto soltanto sei anni dopo nella guerra in Indocina) decidono di andare a vedere com’è la vita in Unione Sovietica, alleato durante la seconda guerra mondiale e ora acerrimo nemico degli Stati Uniti.
Per quaranta giorni, scortati dai funzionari del Voks, l’ente preposto a quel tempo agli scambi culturali con l’Occidente, Steinbeck e Capa si spostarono da Mosca a Kiev e da Stalingrado in Georgia, a Tibilisi e a Batumi sul Mar Nero.
Il viaggio durò 40 giorni e il libro Diario russo che ne derivò è la rielaborazione in forma cronologica della “valigia di taccuini” che Steinbeck riportò a casa, intervallata da 65 scatti realizzati da Capa e un breve scritto, dal titolo “Un legittimo lamento” che, con tono ironico e scanzonato, racconta alcune impressioni del viaggio e soprattutto della convivenza con Steinbeck dal punto di vista del fotografo.
L’interno racconto di viaggio (307 pagine, edite da Bompiani nel 2018 e ristampate nel 2019 dopo 70 anni dalla prima edizione americana A Russian Journal del 1948) contiene numerosi episodi raccontati in modo divertente grazie all’abile scrittura di Steinbeck.
Quello che al romanziere e al fotografo interessava non era la politica e i rapporti di forza, che fanno soltanto da cornice al racconto e al viaggio stesso, bensì la gente comune, gli incontri, le esperienze, la vita nelle città e nelle campagne russe.
“Sui giornali quotidianamente si leggevano migliaia di parole sulla Russia. E su ciò che Stalin andava pensando, sul piano dello stato maggiore russo, sulla disposizione delle truppe (…) E ci accorgemmo che c’erano cose che nessuno scriveva mai sulla Russia, cose che ci interessavano più di ogni altra. Che abiti indossa la gente da quelle parti? si danno anche feste e ricevimenti? E che genere di cibi si mangia? (…) Ci parve che sarebbe stato bello scoprire tutte queste cose, fotografarle, scriverne”.
Quello che ai due viaggiatori interessava dunque era la vita privata dei russi e non la politica. “Avremmo evitato la politica e i grandi problemi. (…) volevamo (…) conoscere il popolo russo”.
Dalle iniziali incertezze burocratiche sui permessi per compiere il viaggio stesso, su quale ente dovesse occuparsi dei due anomali viaggiatori – che fanno in modo di non essere assimilati ai giornalisti per non avere troppe restrizioni – e, soprattutto, per usare una macchina fotografica, fino alla descrizione degli spostamenti aerei su cui vengono imbarcati “una cosa che non si può mai dire con sicurezza è l’ora in cui un dato aeroplano partirà. È impossibile saperlo prima”) e delle guide che di città in città sono state incaricate di accompagnarli nell’itinerario e di soddisfare il più possibile i desideri dei due americani.
Una parte simpatica e interessante del libro sono le considerazioni dei due viaggiatori, su quello che vedono e sulla loro convivenza durante il viaggio.
“La mia preoccupazione – racconta Steinbeck – era quella di impedirgli di prendere un libro o un giornale quando andava in bagno, altrimenti ci sarebbe rimasto senza dubbio almeno un’ora”.
Nelle diverse città, ad esempio, Steinbeck e Capa saranno invitati a vedere molti musei.
“Sto cominciando ad eliminare i musei da questo diario, ma ne vedemmo ovunque. Come aveva detto Capa, il museo è la chiesa della Russia moderna, e rifiutarsi di visitare un museo è come rifiutarsi di andare in chiesa”.
Interessati alla vita nelle campagne, vengono accompagnati a visitare alcune fattorie, tra le quali una fattoria di stato in Georgia, dove l’accoglienza fu entusiasta (“Cominciavamo a credere che l’arma segreta russa, almeno per quanto riguarda gli ospiti, fosse il cibo”).
Altre interessanti annotazioni riguardano quello che gli americani e i russi hanno in comune e quello che li differenziano. Tra le prime rientrano “l’amore per le macchine e l’amore per il colossale”. Tra le seconde il modo di intendere il governo e il fatto che l’America fosse un Paese molto difficile da spiegare ai russi.
“In Russia vedemmo molte cose che non collimavano con ciò che ci eravamo aspettati, perciò è una fortuna avere delle fotografie perché una macchina fotografica non ha preconcetti e fissa semplicemente quello che inquadra”.
Un messaggio e una lezione di empatia che conferma quello che sanno bene i viaggiatori: l’importanza di vedere le cose con i propri occhi, di conoscere e di parlare con le persone direttamente, l’andare oltre il sentito dire, l’essere fonte diretta per evitare pregiudizi e cliché sull’Altro. Per scoprire alla fine che tutti i popoli amano e odiano le stesse cose, tutti temono le guerra e tutti vogliono vivere il meglio possibile in pace.
“Sappiamo che questo diario non soddisferà né i chierici della sinistra né il sottoproletariato di destra. I primi diranno che è antirusso, gli altri che è filorusso. Certamente è una cosa superficiale, ma come avrebbe potuto non esserlo? Non abbiamo conclusioni da trarre, tranne che il popolo russo è come tutti i popoli del mondo. Di certo c’è gente cattiva tra loro, ma i buoni sono la stragrande maggioranza”.
Ecco come apparvero le città e i villaggi che Steinbeck e Capa ebbero modo di visitare nel 1947.
MOSCA
“Mosca è una città tremendamente seria (…) C’è davvero poca allegria nelle strade e di rado qualcuno sorride. Le persone camminano, o piuttosto scivolano via, con la testa bassa e non sorridono”.
Le intenzioni del viaggio di Steinbeck e Capa non sono tanto quelle di vedere le città, ma di conoscere soprattutto la vita nelle campagne. Prima di iniziare l’itinerario, però, trascorrono qualche giorno a Mosca, in attesa dei permessi, in particolare quello di scattare fotografie. E così parte dalla capitale sovietica il loro primo approccio al mondo russo.
A stupirli sono molte cose. Ad esempio, l’atteggiamento delle giovani donne, molto riservato, moralista e severo.
“Graziose ragazze che non hanno mai visto un ritrovo notturno. Che non fumano, Che non usano il rossetto o lo smalto per le unghie. Graziose ragazze che non bevono, e che sono molto riservate con i giovanotti”.
La loro guida e interprete, Svetlana, che loro per assonanza chiamano Sweet Lana, “era così ammodo che ci ha fatto sentire, noi che non abbiamo mai ritenuto di essere particolarmente scostumati, come due libertini”. In sostanza, la moralità di un americano di provincia della passata generazione si riconoscevano negli atteggiamento dell’attuale nuova generazione dell’Unione Sovietica.
Un altro aspetto sorprendente è la folla presente nei negozi della città. Ma le persone non ci va per fare spese, bensì per guardare quelli che possono permettersi di comprare gli oggetti del desiderio. “Si ha l’impressione che sia per loro una specie di spettacolo”.
KIEV
“Ci avevano detto che una volta usciti da Mosca tutto sarebbe stato diverso e che non avremmo più trovato quell’atmosfera cupa e triste. Era vero”.
Di Kiev i due viaggiatori apprezzano subito la bellezza, nonostante ora fosse semidistrutta, molto più di Mosca. Nonostante ciò, i suoi abitanti “non hanno l’aspetto abbattuto di quelli della capitale”.
A Kiev Steinbeck e capa visitano la città, partecipano a uno spettacolo di circo (“I loro clown rappresentano gli americani”) e alle danze degli ucraini in un club notturno della capitale e poi furono accompagnati a vedere un paio di villaggi agricoli.
“Secondo le informazioni fasulle che ci avevano dato, la gente delle fattorie collettive viveva nelle baracche. Il che non è vero. Ogni famiglia ha la propria casa, un giardino e un orto”.
È qui che Steinbeck e Capa hanno un vero assaggio della vita quotidiana popolare delle campagne dell’Unione Sovietica. Trovano persone vivaci e amichevoli, che cercano in ogni modo di fare bella figura con loro: arrivati infangati dai campi, si erano ripuliti e avevano indossato gli abiti migliori per invitarli alla loro tavola e preparato ogni sorta di cibo e bevande da condividere.
“Il nostro ospite propose un brindisi che ormai cominciavamo a conoscere bene, il brindisi alla pace tra tutti i popoli del mondo. È strano come non facciano quasi mai brindisi individuali. In genere i loro brindisi sono dedicati a cose assai più grandi del futuro di un individuo”.
Steinbeck e Capa provarono a rispondere alle molte domande che gli ucraini avevano sugli Stati Uniti visto che erano i primi americani con cui venivano in contatto e la curiosità era molta. Amavano le macchine automatiche tanto quanto gli americani e il loro sogno era la meccanizzazione che poteva rappresentare finalmente la comodità, il riposo e la prosperità.
“Tra le rovine delle loro città costruivano senza sosta nuove case, nuove fabbriche, nuove macchine e una nuova vita. Cento volte ci dissero: “Tornate tra qualche anno, vedrete quello che avremo fatto”.
STALINGRADO
L’odierna Volgograd, oggi città di circa un milione di abitante lungo la riva del fiume Volga, è una Stalingrado “distrutta dal fuoco dell’artiglieria” nei giorni in cui accoglie Steinbeck e Capa. Non solo. Visto che la città era in rovina la popolazione viveva nelle cantine dei vecchi edifici, quindi sottoterra.
“Come potessero vivere sotto terra e tenersi ugualmente ordinati e puliti, non riuscivamo a capirlo (..) Era una strana ed eroica parodia della vita moderna”.
A Stalingrado Steinbeck e Capa sono accompagnati a visitare la casa del sergente Pavlov che con soli nove uomini resistette per 52 giorni agli attacchi nemici e la famosa fabbrica di trattori dove gli operai continuarono a costruire carri armati anche mentre i tedeschi sparavano su di loro.
E dopo un’escursione sul Volga con un piccolo battello che ai nostri ricordava “il Mississippi dei giorni narrati da Mark Twain”, l’architetto che dirigeva i progetti della nuova Stalingrado spiegò loro perché si voleva ricostruire la città dov’era, nonostante il fatto che costruirla da capo sarebbe stato più facile e meno costoso.
TBILISI E IL MAR NERO
Finalmente i due viaggiatori arrivano in Georgia. Avevano già molto sentito parlare del Paese di cui tutta la Russia tesse le lodi (“Finché non avrete visto la Georgia, non avrete visto nulla”) e che, insieme ai suoi abitanti, farà una bellissima impressione anche a Steinbeck e Capa. “I georgiani sono diversi dagli altri russi”, sia come aspetto fisico (“sono scuri, con un aspetto quasi gitano”), sia come carattere (“sono selvaggi, orgogliosi, feroci e allegri e gli altri popoli della Russia nutrono grande ammirazione per loro”) e come stile di vita (“sono un popolo di poeti, di musici e di danzatori e, secondo la tradizione, di grandi amatori. Certamente vivono in una terra favorita dalla natura”).
Il grande fascino di Tbilisi, “città di antichissime leggende e probabilmente di antichissimi fantasmi” colpisce immediatamente i due viaggiatori, che apprezzano la bellezza della sua valle attraversata dal fiume, della sua architettura, delle sue chiese di tanti culti diversi e la sua accoglienza.
“Non ci sentimmo estranei a Tbilisi, perché è una città che riceve molti visitatori ed è abituata agli stranieri”.
Dopo Tbilisi, il viaggio prosegue con la visita di Mtsketa, l’antica capitale e quello che dalla descrizione “una chiesa che, dall’alto di un picco, domina la città” sembra essere il monastero di Jari, per poi proseguire a Borjomi, dove i nostri assaggiano le famose acque di cui scoprono a proprie spese l’effetto lassativo e a Gori, la città in cui nacque Stalin e in cui già allora esisteva il museo dedicato al dittatore ed era conservata la sua casa natale, coperta dallo stesso baldacchino sotto cui si trova ancora oggi.
Infine, l’arrivo a Batumi, sul Mar Nero, il luogo di villeggiatura dei russi.
“Questa è la vacanza che quasi tutti i lavoratori russi desiderano. È la ricompensa per chi ha lavorato a lungo e duramente, ed è il luogo di convalescenza per i feriti e i malati”.
Spiagge ed alberghi si susseguono e l’hotel in cui sono alloggiati Steinbeck e Capa è il più lussuoso di tutta l’Unione Sovietica. Gli hotel e i sanatori ospitano persone che stavano recuperando la salute dopo una malattia o un incidente sul lavoro. È il comitato che sceglie chi deve andare in vacanza, basandosi su fattori come l’anzianità di servizio, la quantità di lavoro svolto e le condizioni fisiche, oltre che alla malattia.
“In questi formidabili georgiani avevamo incontrato dei rivali invincibili. Potevano mangiare più di noi, bere più di noi, ballare più di noi, cantare più di noi. avevano la feroce allegria degli italiani, unita all’energia fisica dei borgognoni. Tutto quello che facevano lo facevano con stile. Erano completamente diversi dai russi che avevamo incontrato, ed è facile comprendere come mai siano così ammirati dai cittadini delle altre repubbliche dei soviet”.
A me questo libro è piaciuto molto. Dopo aver apprezzato moltissimo Steinbeck come narratore e aver visto numerose mostre fotografiche di Capa, leggere questo viaggio organizzato da una coppia insolita di viaggiatori in luoghi – come quelli dell’Europa dell’Est – che mi affascinano moltissimo è stata decisamente una bella scoperta!
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