Le cose che abbiamo perso nel fuoco è una raccolta di 12 racconti ambientati nei quartieri equivoci di Buenos Aires scritta da Mariana Enriquez, classe 1973, considerata una delle scrittrici più brillanti della sua generazione.
Nata a Buenos Aires, giornalista, Mariana Enriquez trascina il lettore nei meandri più disturbanti della sua città e lo costringe a guardare le cose che di solito si tengono nascoste, come la violenza più brutale, la cattiveria gratuita, la superstizione cieca, il dolore e la paura.
La raccolta è pubblicata da Marsilio nel 2017, anno in cui la casa editrice, dopo una serie fortunata dedicata ai thriller e ai noir scandinavi, ha deciso di aprire agli scrittori del’America Latina.
Il cuore nero dell’Argentina
È il cuore nero dell’Argentina, non una lettura per tutti, ma piacerà sicuramente a chi non ha paura di farsi turbare e vuole entrare nelle viscere di una metropoli che ha da sempre un fascino inquietante e una reputazione a dir poco controversa. Buones Aires è una metropoli composta da 48 quartieri o barrios.
Il primo racconto, ad esempio, intitolato Il bambino sporco, è ambientato nel quartiere Constitución. Nonostante di giorno sia assiduamente frequentata dai pendolari per via della stazione ferroviaria e della fermata della metropolitana, questa è una delle zone più problematiche e difficili della città, crocevia della prostituzione e dello spaccio di droga.
Tra horror, suspense, superstizione, sparizioni misteriose, bambini uccisi e bambini che uccidono, povertà, personalità contorte e incomunicabilità coniugale (di cui si parla in Ragnatela, per me uno dei racconti meglio riusciti), le storie della Enriquez ci accompagnano per mano nel degrado più profondo dei quartieri di Buenos Aires dove non è raccomandato entrare, mostrandoci come reale e soprannaturale si possono confondere, senza capire del tutto se stiamo viaggiando davvero lungo le strade della città o soltanto nelle mente dei suoi protagonisti.
Assassini veri e fantasmi immaginati
Il confine tra verità e finzione, tra magia e realtà si fa sempre più sfumato, proprio come il perimetro tra le case antiche dei nobili e le baracche abbandonate, tra assassini veri e fantasmi immaginati, tra idoli pagani e chiese cristiane.
Il male, la cattiveria gratuita, la follia, l’isolamento trovano casa in un ambiente dominato dai femminicidi (il tema dell’ultimo racconto, quello che dà il titolo all’intera raccolta), dalla crisi economica, dalle discriminazioni e dalla dittatura.
Lo stile di Enriquez è semplice e diretto, le descrizioni sono crude ed essenziali, ma sanno arrivare al cuore e riescono a sconvolgere l’animo con poche ed esatte parole. I racconti scivolano via facilmente ed è uno di quei libri che si possono divorare in due giorni e che, una volta terminati, se ne rimpiange la mancanza.
Storie in sospeso
Un altro comune denominatore dei racconti è il finale, che spesso rimane aperto. Sono storie in sospeso, come le vite dei protagonisti, il cui futuro è incerto e può mutare improvvisamente.
La maggior parte dei finali de Le cose che abbiamo perso nel fuoco lascia al lettore la sua libera interpretazione: cosa sarà davvero successo? È davvero tutto come sembra o ci può essere anche una risposta diversa, lontana dalla comune immaginazione? O forse ancora è il modo più vicino alla realtà per raccontare un passato politico controverso di un’Argentina immersa nella paura, nelle sparizioni e nelle uccisioni senza giustizia.