5 prodotti tipici e 4 tradizioni popolari che fanno amare il basso Salento

Raccontare un territorio attraverso i suoi prodotti alimentari e le sue tradizioni. Oltre che attraverso la sua gente. Quando si torna da un viaggio, quello che rimane spesso nella memoria sono i ricordi delle persone incontrate, a volte anche soltanto di sfuggita o per caso.

Per me l’entroterra salentino sarà sempre i fazzoletti colorati di Antonietta e Addolorata, incrociate nella loro suggestiva abitazione a corte, il sorriso di Agostino mentre ci prepara il caffè ed è sorpreso dalla nostra visita insieme ai suoi affezionati clienti del Bar Sport. Ma anche la passione di Aldo mentre ci racconta la storia di Botrugno. O l’entusiasmo di Nicola mentre ci mostra con orgoglio la sua agricoltura secondo natura a Minervino o la passione di Maria che ci fa assaggiare ogni tipo di formaggio e mozzarella del suo caseificio fino a scoppiare. O la pazienza mista a orgoglio di Rosanna mentre cerca di spiegare che fare la pasta in casa non è soltanto la preparazione di un cibo ma una filosofia di vita, in particolare di coppia.

Insomma, se cercate non soltanto un semplice viaggio, ma una vera esperienza, il Salento è quello che fa per voi. Qui di seguito c’è una lista di prodotti e di tradizioni che ho avuto modo di provare e di conoscere da vicino, durante l’educational tour a cui ho partecipato a fine febbraio. Spero vi possano dare spunti interessanti.

tradizioni Salento
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5 PRODOTTI TIPICI DA PROVARE

1. Gli ortaggi sottolio di Vizzino

Cosa significa una coltivazione in “in campo aperto”? Vuol dire che rispettano il naturale ciclo delle stagioni, in modo che ogni prodotto, accarezzato dal sole e dalla brezza marina, mantenga quelle che sono definite le proprietà organolettiche. Noi di solito riconosciamo queste qualità dal sapore dei prodotti. E il sapore degli ortaggi in olio d’oliva di Vizzino, l’azienda di Minervino di Lecce in attività da 30 anni, è pieno e gustoso. Ve lo posso garantire io, visto che li ho assaggiati. Diciamo la verità: nessuno di noi riusciva a staccarsi dalla degustazione che Roberto e Cosimo Vizzino, insieme al papà Giovanni, hanno preparato per noi.

Il loro prodotto di punta sono i carciofi, ma io ho trovato deliziosi anche i lampascioni, i pomodori secchi, le melanzane e le olive nere. I migliori pomodori San Marzano, colti e trasformati secondo la tradizione salentina, diventano passate e conserve. Di generazione in generazione, la famiglia Vizzino ha portato avanti un lavoro di selezione, raccolta e trasformazione soltanto dei migliori prodotti ortofrutticoli, per il piacere di rispettare le tradizioni e le antiche ricette delle nonne. Il piacere di fare le cose per bene.

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2. L’olio di Tresca

Cinque generazioni di produttori di olio extravergine possono bastare? L’azienda agricola Tresca sembra un enorme parco naturale, con ulivi a perdita d’occhio coltivati su 20 ettari di terreno. Una vera immersione in tante sfumature di verde, prima di far felice il palato assaggiando il buonissimo olio che si produce qui dal 1820. Domenico Cito ci spiega che la raccolta delle olive avviene in anticipo, al giusto grado di maturazione, direttamente dall’albero. Le olive sono poi lavorate a freddo entro le sei ore. L’olio non viene filtrato ma, seguendo l’antica tradizione, viene lasciato lentamente decantare. Questo trattamento permette di mantenere integri sia i delicati profumi e aromi delle olive sia le virtù nutrizionali. L’azienda produce due linee di olio completamente biologico.

La tenuta Tresca di San Cassiano è anche un elegante edificio, arredato con gusto e con grande attenzione ai dettagli, perfetto per un pranzo o una cena importante. L’ambiente è così accogliente che ci si sente coccolati appena varcata la soglia dello splendido palazzo immerso nel verde. Davvero un pezzo di Salento da scoprire.

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3. Il miele di Sciglio

Sembra che sia stato Einstein a dire che finirebbe la vita sul pianeta nel caso in cui scomparissero le api. Una cosa però è certa: è importante proteggere questo insetto impollinatore. Di api, invece, se ne vedono sempre di meno, a causa dell’inquinamento. Sarà anche per questo motivo che ammiro moltissimo chi cerca di preservare la produzione del miele, uno dei prodotti che amo fin da quando sono piccola e di cui ancora sono golosa.

Conoscere Adriano e Rocco dell’azienda agricola Sciglio, che si trova in mezzo agli oltre cinquemila ettari di uliveti secolari del Parco dei Paduli, è stata un’esperienza molto interessante. Hanno avuto la pazienza di spiegarci come funziona la vita di un alveare, come si produce il miele e qual è la particolarità della loro produzione. E alla fine abbiamo assaggiato anche qualche cucchiaino di miele millefiori, sia della varietà ambrata dal sapore intenso sia della tipologia giallo paglierino e dal sapore delicato. L’azienda, nata dall’amore per le api del nonno Umberto fin dagli anni ’40, pratica l’apicoltura razionale: ciò significa che le api sono allevate in arnie e telai di legno e cera.

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4. Il vino dell'azienda Anna

Su 45 ettari di terreno a conduzione biologica, l’azienda Anna è la dimostrazione che è possibile tornare (o continuare) a fare le cose secondo natura. Grazie a una produzione sostenibile, qui si coltivano vitigni autoctoni, ma anche olio e ortaggi ed è in atto un’azione di recupero e riqualificazione delle piante officinali e delle specie botaniche della macchia mediterranea.

Nata del 2005, oggi conta 1.100 soci consorziati e rappresenta un’autentica novità per la Puglia e per tutta l’Italia, oltre alla dimostrazione che anche i sogni si possono avverare. Nicola ci spiega come lo stile di vita naturale non sia soltanto possibile ma anche importante, da più punti di vista. L’antico sta diventando la chiave del moderno. E lo dimostrano i profumi e i colori di questa azienda agricola che in realtà assomiglia più a un prato sterminato e selvatico, di quelli che tanto amavo da bambina e che ora ormai non vedo più da nessuna parte.

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5. I formaggi di Dolcelatte

Pane, latte e fantasia non è un semplice slogan per il caseificio Dolcelatte di Minervino, dove ci siamo rifugiati in una giornata di pioggia battente. Questa è un’azienda davvero longeva, in attività da ben 50 anni, ovvero da quando, negli anni ’60, il signor Vincenzo, all’epoca quattordicenne, divenne casaro e trasmise la sua passione e rispetto delle tradizioni anche alle generazioni future.

Oggi Maria e Gianni sono perfetti interpreti di questa cultura che ai prodotti di qualità unisce il piacere di un servizio eccellente. Appena varata la soglia del negozio di Minervino la vista e l’olfatto sono rapiti dalle prelibatezze esposte dietro al banco. Formaggi di diversa stagionatura, mozzarelle di bufala, mozzarelline. Maria dice che il loro prodotto di punta è la ricotta e dopo averla assaggiata non posso che darle ragione: una squisitezza che si scioglie in bocca.

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4 TRADIZIONI POPOLARI DA CONOSCERE

1. La pasta fatta in casa da Rosanna

Avete mai provato a fare la pasta fatta in casa? In Salento è una delle tradizioni più sentite e una delle attività praticate ancora oggi per il pranzo della domenica, il giorno di festa, quando la casa si riempie di amici e parenti. Orecchiette e sagne al sugo di pomodoro con una spruzzata di cacioricotta o di pecorino sono i gusti genuini alla base di un tipico pasto tradizionale salentino.

Per fare la pasta servono acqua, farina, sale, tanta pazienza e un po’ di abilità. Serve anche una spianatoia o comunque una tavola di legno e ovviamente il tipico mattarello. Per fare le orecchiette serve anche un coltello. Durante l’educational tour la maestra d’eccezione è stata la signora Rosanna, che ogni giorno cucinava per noi ogni genere di prelibatezza al b&b Il Borgo di Poggiardo. L’impasto è una delle cose più difficili, perché sono necessari movimenti circolari per ottenere una forma liscia e omogenea. La preparazione delle orecchiette richiede un’abilità in più: la pasta va curvata in modo da creare un dischetto con la punta del coltello e una leggera pressione. A quel punto bisogna riuscire a staccare la pasta del coltello e rivoltarla, dando all’orecchietta la tipica forma irregolare e rugosa. Facile, vero? Sto scherzando. Servono abilità e tanta passione, ma tutti possono provare.

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2. La pizzica suonata da Alessandro

Pensi al Salento e ti viene in mente la pizzica, ballata magari da gruppi improvvisati in riva al mare al ritmo di tamburello e di canzoni dialettali che di solito parlano d’amore e di vita contadina. In mancanza del sole, durante la mia visita all’entroterra salentino, il simpatico Alessandro è venuto a trovarci al b&b Il Borgo per farci trascorrere in allegria la serata prima della partenza. Se a prima vista suonare il tamburello con i sonagli può sembrare semplice, in realtà i movimenti richiesti battere la membrana e scatenare il ballo richiedono un ritmo preciso e costante.

La pizzica si balla in coppia ma, a differenza di quello che molti pensano, non è sempre e solo una danza di corteggiamento. Questo tipo di tarantella si ballava soprattutto in occasioni private e familiari e quindi era comunque che ballassero insieme fratello e sorella, anziani e bambini, ma anche due uomini. In quest’ultimo caso il ballo diventava una sorta di competizione in cui si mettevano in mostra le doti di agilità. Una cosa è certa: la pizzica è un ballo molto divertente, grazie al battito dei piedi, agli inseguimenti, agli allontanamenti repentini e gli incroci dei ballerini, uniti alle grida e all’euforia del pubblico.

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3. I giunchi intrecciati da Antonella

Le mani sapienti di Antonella fanno sembrare tutto facile. In realtà la lavorazione dei giunchi intrecciati, una delle tradizioni tipiche salentine più interessanti, richiede molta velocità e maestria. Intrecciare le canne dei giunchi lunghi circa un metro e mezzo è un’arte complessa. I panari salentini sono realizzati con una lavorazione particolare che è andata gradualmente scomparendo e che ormai viene praticata da pochissimi artigiani. I panari in passato in questa zona erano usati per la raccolta delle olive. Ci sono molte imitazioni industriali di questo tipo di cesto e trovarne uno realizzato completamente a mano non è così scontato. Il lavoro infatti non è soltanto complicato, ma anche piuttosto lungo, visto che i giunchi vanno raccolti e poi essiccati.

La pratica dell’intreccio del giunco per produrre cestini è documentata fin dalla fine dell’Ottocento. A quel tempo la necessità per le donne era quella di avere recipienti in cui riporre i prodotti della terra. Le borse e i contenitori venivano anche barattati con cibo durante i periodi di miseria. La cosa sorprendente è che l’intreccio viene fatto a secco, senza alcun tipo di colla o di fissaggio, a parte un comune filo, di solito di colore rosso per motivi estetici. Piatti, cesti di varie dimensioni, borse e contenitori di ogni forma e dimensione prendono vita dalle mani di questi esperti artigiani che provano a portare avanti la tradizione.

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4. La cartapesta e le processioni

La più alta concentrazione di maestri cartapestai si trova a Lecce e ve ne accorgerete subito passeggiando lungo le strade del centro storico. Ma l’arte della cartapesta è diffusa in tutto il Salento e numerose statue di santi nelle chiese sono realizzate con questa tecnica strepitosa. Sono talmente perfette che non è sempre facile accorgersi che la tecnica usata sia questa, molto spesso infatti sembrano realizzate in legno dipinto. Non sembra possibile infatti che opere così belle siano create soltanto con carta, paglia, acqua, colla d’amido, fil di ferro e farina.

L’uso della cartapesta si diffuse tra il XVII e il XVIII secolo, nel periodo di maggior sviluppo dell’arte sacra e di realizzazione di chiese e sculture religiose. La pazienza e la fantasia sono due doti che ai salentini non mancano di certo a giudicare dagli splendidi lavori che si trovano sparsi un po’ ovunque e che raffigurano soprattutto statue di santi (Sant’Oronzo di cartapesta viene portato anche in processione), angeli, presepi o figure legate alla cultura contadina e agli antichi mestieri.

L’uso della cartapesta è legato anche alle feste patronali, caratterizzate anche da suggestive luminarie che decorano le facciate dei palazzi. Queste feste sono un momento importante per gli abitanti dei singoli paesi che mantengono viva la loro cultura e l’attaccamento alla tradizione. Come già vi dicevo nel post con l’itinerario su Botrugno e dintorni a causa del maltempo non sono riuscita a vedere la processione di Sant’Oronzo, rimandata a qualche giorno dopo, quando ormai io ero già rientrata a nordest. Ci ha pensato la mia amica Raffaella però a mandarmi alcune foto delle luminarie illuminate (le vedete in fondo al post). Perché, come vi dicevo all’inizio, per raccontare il Salento è impossibile non parlare della sua gente.

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Giornalista, blogger e autrice di guide di viaggio, non riesce ad immaginare una vita senza viaggi per scoprire nuovi luoghi e conoscere culture diverse. Ama l'arte, la natura, la fotografia, i libri e il cinema. Appassionata di Balcani e di Europa dell'Est, di Medio Oriente e Sud Est asiatico, spera di riuscire a vedere tutto il mondo possibile.

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